Villanova del Sillaro, 4 aprile 2013 - Basta con la moda dell’agricoltura verde, meglio quella intensiva tipica della Pianura padana, e meglio ancora se a gestirla non sarà più un inutile ministero ma l’unione delle regioni del Nord, Emilia Romagna compresa anche se ‘rossa’, chiamate a discutere direttamente con le autorità comunitarie. Davanti a una stalla da 400 frisone da latte, il neo assessore lombardo all’Agricoltura, Gianni Fava, mantovano della bassa viadanese, non usa mezze misure. La sua prima uscita pubblica dopo la nomina nella giunta Maroni ha voluto farla in grande stile lontano dal ‘palazzo’ milanese e tra gli agricoltori. Ha scelto perciò cascina Santa Maria a Villanova sul Sillaro, un’azienda di 132 ettari di proprietà dei fratelli Pietro e Luigi Rota, che produce latte di qualità (destinato al grana padano e al consumo diretto) e dove vengono allevati, in un edificio non lontano dalle grandi stalle, anche 1700 suini.

In uno scenario decisamente insolito, dunque, Fava tratteggia il suo programma: ancora pochi i numeri, ma molto precise le sue linee guida. «So che a Bruxelles c’è chi storce il naso quando parliamo di agricoltura intensiva — spiega — ma noi vogliamo continuare a fare quello che sappiamo fare e che non è scontato altri siano capaci di fare. A Roma ieri ho parlato con Giorgietti (Giancarlo, il saggio in quota Lega nominato da Napolitano ndr) e gli ho detto che a noi il ministero dell’Agricoltura non serve: in questo paese si coltivano olio e agrumi, ma cosa c’entrano con il settore zootecnico, che poi è quello prevalente qui? Ormai le politiche agricole le fa la Comunità Europea e io vorrei una macroregione agricola (Lombardia, Veneto, Piemonete e Friuli, tutte a guida leghista ndr) dall’altra parte del tavolo. E inviterei anche l’Emilia Romagna che, pur di diverso colore, fa parte di questa area omogenea. E non chiamatela secessione
verde».

Fava è convinto che con questo assetto la rappresentanza italiana sarebbe più forte di quanto non lo sia stata fino ad oggi con un ministro tecnico esperto del settore come Mario Catania: «Parliamoci chiaro — incalza Fava — partiamo da un taglio di un miliardo e mezzo di euro nel Pac, sinomimo di politiche agricole comunitarie e di anticipazioni finanziarie al settore. Alle difficoltà dobbiamo rispondere con un export qualificato dei nostri prodotti, 30 miliardi di euro in giro per il mondo, ai quali se ne affiancano il doppio più o meno falsamente made in Italy, venduti con etichettature che ingannano il consumatore straniero». L’altro fronte da garantire è quello della redditività, contrastando la grande distribuzione che impone i propri prezzi.

Sul biogas il neo assessore è diffidente: «Si tiene in piedi grazie ai sussidi: se venissero a mancare cosa accadrebbe a chi ha investito?» Sulle quote latte, ferita ancora aperta nel mondo agricolo, Fava sintetizza di essere contrario ai colpi di spugna, e favorevole a un graduale e non traumatico ritorno alla legalità mentre su un cavallo di battaglia della sinistra, il consumo di suolo, sembra essere d’accordo sullo stop: serve una moratoria per non concederne altro ad uso diverso da quello agricolo.

tommaso.papa@ilgiorno.net