Lodi, 8 novembre 2012 - Continua incessante il lavoro degli investigatori alla ricerca di tracce che possano ricondurre agli assassini del 48enne carabiniere di quartiere di Lodi Giovanni Sali, ucciso da due colpi della sua arma d’ordinanza, sabato scorso in via Del Tempio. Anche ieri gli uomini della scientifica hanno compiuto un sopralluogo nel vicolo e hanno aperto i tombini, alla caccia, pare, di due ogive che ancora non si trovano. A squarciare uno scenario tutto nuovo sulla vicenda, ci prova intanto Luigi Bonaventura, ex capocosca crotonese, da anni collaboratore di giustizia. Per una serie di problemi, non è ora sottoposto a protezione.

L’ex capocosca non pretende di sapere come effettivamente sono andate le cose a Lodi. Ma dal suo rifugio ha seguito con attenzione la vicenda e prova a mettere insieme i tasselli. «Questo non è sicuramente un lavoro fatto da balordi - dice -. Mi sembra proprio opera di professionisti. Questa tecnica la usavamo anche noi quando dovevamo uccidere un vigilantes (o “pinguino” come lo chiamavamo) oppure un esponente di una cosca rivale. Ritengo, in base alla mia esperienza che il carabiniere potrebbe essersi trovato di fronte, nel vicolo stretto, due persone: una gli potrebbe avere puntato contro una pistola e l’altro potrebbe averlo immobilizzato e, con destrezza, sfilato l’arma dalla fondina. Entrambi l’avrebbero tenuto calmo, tanto è vero che nessuno ha sentito le sue urla. Potrebbero avergli fatto credere di volerlo derubare solo del portafogli».

«Non hanno lasciato tracce, dei balordi ne avrebbero lasciate mille — aggiunge —. Il terzo colpo potrebbe essere stato sparato contro il muro per depistaggio. Non hanno usato la loro arma perché una pistola che uccide un carabiniere scotta. Dall’ogiva si potrà sempre risalire a essa. Se fosse questa la pista giusta, qualcuno avrebbero potuto colpire Lodi perché città di un uomo della lotta anti-mafia, l’attore e consigliere regionale Giulio Cavalli, della cui scorta anche Sali aveva fatto parte».
 

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