Milano, 24 agosto 2012 - Gabriele Ferrandi nasce il 3 febbraio del 1983 a Sant'Angelo Lodigiano. La diagnosi è tetraparesi spastica: passerà la vita su di una sedia a rotelle. Ma Gabriele ama lo sport, anche se la possibilità di praticarlo nel suo piccolo paesino è pari a zero.

Come sei riuscito a diventare un campione di tiro con l'arco e a sbarcare il lunario di Londra?
Il caso, come spesso accade, ci ha messo lo zampino. Tutto è iniziato quando mi sono trasferito a Pavia per frequentare la facoltà di biologia.
Ero uno studente come tanti poi, sette anni fa, hanno organizzato una manifestazione di discipline dedicate ai disabili. Non mi sono lasciato scappare l'occasione, ed è stato lì che ho imbracciato per la prima volta l'arco.

È stato amore a prima vista?
Non direi; la prima volè è stata un disastro. Ma l'uomo che era sul campo a far provare lo sport ai curiosi, Elio Imbres - che poi sarebbe diventato il mio mentore - mi fece poggiare l'arco per 10 minuti, quindi mi invitò a ritentare. E il risultato non fu affatto malvagio, nonostante l'agitazione della novità.

È stato in quel momento che hai capito che quello sarebbe diventato il tuo sport?
Niente affatto. Se mi avessero detto che da lì a sette anni avrei partecipato alle paralimpiadi non ci avrei creduto. Quel giorno Imbres mi spinse a provare ad andare a vedere un allenamento. Così ho cominciato, ma all'inizio era solo un passatempo, perché il mio primo dovere rimaneva comunque lo studio (oggi Ferrandi frequenta il biennio di specializzazione in neurobiologia a Pavia, ndr.). Ma da cosa nasce cosa, e così ho continuato ad allenarmi con costanza, fino ad oggi.

Quali sono state le tappe della tua scalata al successo?
L'esordio è stato nel 2006 a Massa, quando ho vinto il campionato esordienti. Ma la mia prima presenza in nazionale è arrivata solo nel 2011, con i mondiali di Torino, da cui sono tornato a casa con un nono posto. La grande vittoria è arrivata quindi a Stock Mandelville l'anno successivo, dove la sesta posizione mi ha permesso di qualificarmi all'olimpiade. E domenica prenderò un aereo da Linate, diretto a Londra.

Agitato?
Per ora mantengo la calma. Certo che se mi fermo a pensarci per davvero, un brivido mi attraversa la schiena. In fondo qui si sta parlando di un sogno diventato realtà. Soprattutto per uno come me, che ha sempre amato lo sport, ma che per anni ha creduto di non poterlo praticare.

Che cosa ha significato per te il tiro con l'arco?
Non è una novità che lo sport aiuti a crescere e faccia bene allo spirito e al corpo. Per me è stata una terapia d'autostima. Mi ha insegnato ad avere fiducia nelle mia capacità, e a superare i miei limiti. Può sembrare una sciocchezza, ma l'arco mi ha costretto a fare molte cose che prima, un po' per pigrizia un po' per paura, rifuggivo, come per esempio guidare da solo. Sono anni che ho la patente, ma fino a qualche tempo fa in autostrada non andavo mai, cosa sarebbe successo se al casello non fossi stato in grado di raggiungere il biglietto? E se mi fosse caduto a terra? Ora però gli allenamenti mi costringono a spostarmi in tutto il nord Italia, e non posso certo chiedere ogni volta a qualcuno di accompagnarmi. Ho guidato più negli ultimi due mesi che non in tutta la mia vita.

Quando ti si potrà vedere in campo?
La prima gara sarà alle 10, ore londinesi, del 30 agosto, e qui si stabiliranno i ranking. Poi il giorno successivo, alle 16.30, si concorrerà per le medaglie.

C'è la speranza del podio?
Bisogna essere realisti, sono un esordiente, non mi aspetto né oro, né argento, né bronzo. Il mio primo obiettivo è fare bene per me stesso e per ripagare l'affetto di chi mi è stato e tutt'ora mi sta vicino. Ma questa è la mia grande occasione, e farò di tutto per giocarmela al meglio delle mie possibilità.

di Andrea Ruscitti