Lodi, 28 settembre 2011 - C'è la voglia di congedarsi con un passato fatto da notti sui monti, moschetti e gavette e c’è la voglia di regolare i conti con un presente che invece ha lasciato nell’oblio della burocrazia gli anni della gioventù regalati alla guerra. Ersilio Donadelli, classe 1919. La grande Guerra finita da un solo anno, D’Annunzio occupa Fiume, in Italia Don Luigi Sturzo dà vita al Partito Popolare e Antonio Gramsci dà alle stampe il primo numero di Ordine Nuovo. C’è fermento, ma se nasci in una città della Bassa, il credo primo è quello del lavoro, ricostruire e cercare di fare almeno un pasto al giorno. Inizia presto a conoscere i campi, Ersilio, le sveglie all’alba con la galaverna d’inverno e i tafani d’estate. Poi però arrivano “Le decisioni irrevocabili” e “Vincere, Vincere Vincere!”. Ersilio viene arruolato il 24 aprile del ‘39 , poi nel ‘40 la chiamata alle armi.
 


E le manovre poco laiche, poco scettiche e alquanto scellerate, lo portano in Francia. «Da alpino che ero, sono stato mandato a fare la Guardia di Frontiera sopra Mentone» ricorda Ersilio. «A volte per raggiungere certi passi e presidi ci impiegavamo anche 3 ore. Su e giù dai monti». E ricorda, come già dai giorni del 1940, l’esercito italiano era un'armata Brancaleone, improvvisata con tanti giovani, carne da cannone. Dalla Francia poi a Bolzaneto, cambiano ordini e manovre, trasferimento a Cremona e da lì in Grecia. Dal balcone di palazzo Venezia c’era chi gridava «Spezzeremo le reni alla Grecia», la Grecia intanto spezzava le meglio gioventù. «Già dall’avvicinamento alla Grecia mi ricordo i problemi. Un deragliamento di un treno. E tre amici morti».
 


Una Spoon River al contrario,
dove Ersilio richiama alla memoria i non più presenti all’adunata. «G’hera un fiöl de Sant’Angel e un alter de Lod su quel tren cün mi!. C’erano su quel treno, ma non sono più scesi!». Ne ricorda altri di fratelli d’armi e di male in arnese caduti tra Atene e Tirana. Poi arriva il ’43, cambiano i fronti e gli alleati ma ogni campagna di imperialismi senili é lontana dalla volontà e dallo scibile della gente della bassa. L’unica Patria sono la propria casa e la propria madre e se muore la mamma, si vuole solo ritornare a casa. Piangere si, ma almeno a casa propria! Ersilio allora sale su un treno con altri soldati,eserciti allo sbando senza nome e identità. A Belgrado però i tedeschi. «Sequestrano tutti, tre giorni fermi ad aspettare cosa sarebbe successo!», ammonisce Ersilio che con un dito sospeso nell’aria ripercorre le tappe di quel cammino, come se ripercorresse una cartina geografica davanti agli occhi. I tragitti se li ricorda ancora, i nomi non sempre, le sofferenze, quelle, sono indelebili «Prigionieri! Ecco cosa è stato di noi! Ci hanno trasferito in un campo di concentramento.! Nel lager di Meppen».
 


Gli occhi luccicano la voce, trema «Io mi sono salvato perchè lavoravo nei campi con buoi e cavalli, i nazisti cercavano qualche prigioniero che fosse capace di fare quel mestiere, poi ci hanno liberati gli americani. Ma io da quei campi mi ricordo che vedevo il fumo che usciva alto dai camini, me lo ricordo». Poi nel ‘46 il ritorno in Italia. Nuova vita e nuovi cinismi, perchè sul”Foglio di Congedo illimitato”, compilato dal colonnello comandante del distretto di leva di Lodi, risulta che Ersilio Donadelli non ha mai fatto la guerra. Le voci campagne, trasferimenti e luoghi di battaglia sono solo caselle sbarrate «Io so cos’ho fatto e dove sono stato, ma per lo Stato? Chi sono?» Una gioventù in guerra e nemmeno un riconoscimento.