Lodi, 15 giugno 2011 - Crescono i prezzi dei prodotti nel carrello dei lodigiani. Secondo un’indagine della Camera di Commercio di Monza e Brianza, il Lodigiano è la provincia lombarda che più di tutte ha subìto un’innalzamento dei costi della spesa: più 3,3% nel listino prezzi dei beni alimentari. Un boom che la mette in cima alla classifica lombarda dei rincari. Segue Milano, con un incremento del 2,4%.

 

Per fortuna, in valore assoluto Lodi resta una delle province meno care: fare la spesa nel nostro territorio infatti costa in media - secondo la stessa inchiesta - il 7,2% in meno rispetto alla media lombarda. Ai livelli del Lodigiano, in regione, c’è soltanto il Comasco. Ma in generale, a livello regionale la situazione è meno rosea: tanto che le famiglie quest’anno sono arrivate a spendere quasi 27 euro in più per fare la spesa rispetto all’anno scorso. Basti pensare che un caffè oggi costa 0,92 centesimi (e a Lodi non mancano bar che fanno pagare una tazzina 1,30 euro), l’anno scorso 0,89 centesimi. L’aumento è quindi del 2,2%. Una pizza in compagnia costa ormai in media 9,20 euro, cioè 0,20 centesimi in più rispetto al 2010. Lo scarto, in questo caso, è del 2,7%.

 

Intanto, per effetto di questi aumenti, sugli scaffali di supermercati e centri commerciali è scoppiato un boom di promozioni che fanno gola ai clienti. Con sistemi come le carte fedeltà o i buoni sconto si può raggiungere un risparmio fino al 24%. «Il fatto che Lodi sia una provincia poco costosa, dove i prezzi sono contenuti rispetto alla media regionale — spiega Bruno Milani, segretario dell’Unione del commercio, del turismo e dei servizi della provincia di Lodi —, è per via dell’alta concentrazione di esercizi della grande e media distribuzione, che offrono al consumatore una qualità dell’offerta a prezzi competitivi». Centri commerciali, quindi. Ma subito Milani aggiunge: «Prezzi bassi merito anche della piccola distribuzione».

 

Riguardo ai generi alimentari, il segretario provinciale spiega che «è possibile che la gente spenda di più in generi di prima necessità, come appunto il cibo, piuttosto che nei cosiddetti beni voluttuari», cioè in cose superflue. Che - in tempo di crisi - non sembrano il primo pensiero delle persone.