Lodi, gli investigatori del dna pronti a smascherare il cibo tarocco

Il Parco tecnologico padano in campo contro il falso made in Italy in vista di Expo

RICERCHE Una biologa svolge alcune analisi sugli alimenti (Cavalleri)

RICERCHE Una biologa svolge alcune analisi sugli alimenti (Cavalleri)

Lodi, 8 ottobre 2014 - Lodi capitale della lotta ai «tarocchi» in tavola. Se l’incoronazione ufficiale è avvenuta solo qualche giorno fa, con l’annuncio del ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina che il summit europeo di marzo 2015 dedicato alla lotta alla contraffazione alimentare si terrà proprio qui, già da tempo la città combatte in prima fila. Lo fa con i dieci ricercatori del laboratorio di genomica del Parco tecnologico padano, diretto dal dottor Gianluca Carenzo, che fisicamente dovrebbe ospitare il vertice targato Expo.

Carenzo, quali sono i vostri strumenti nella difesa della qualità alimentare?

«Il nostro laboratorio certificato offre servizi di piattaforma genomica, sviluppiamo ‘tool’ basati sull’estrazione del Dna che vendiamo alle aziende che ne hanno bisogno. Abbiamo anche registrato il marchio Dna Controllato».

Concretamente cosa significa?

«Che siamo in grado di stabilire l’effettiva composizione, provenienza, qualità di un alimento».

Qualche esempio?

«Da un unico chicco di riso possiamo estrarre il Dna e da questo risalire alla varietà, facendo un confronto col nostro database. O ancora sulle viti, la carne...».

Chi si rivolge a voi?

«Aziende da tutta Italia ma anche l’Agenzia delle dogane».

Perché un’azienda dovrebbe chiedere il Dna di ciò che vende?

«Per garantire ai clienti la qualità dei loro prodotti. Abbiamo avuto il caso di una multinazionale che aveva in commercio hamburger di chianina. Ebbene, voleva una conferma e l’ha avuta».

Casi controversi?

«Un anno fa fummo contattati dalle Iene che denunciarono la pratica di alcuni ristoratori del litorale laziale di vendere carne di delfino, illegale. Con la nostra analisi appurammo che si trattava proprio di delfino».

Insomma, fornite una fotografia inconfutabile di quello che finisce a tavola. È un servizio conosciuto?

«Potrebbe esserlo molto di più. Per legge alcuni controlli devono essere fatti con ricerche molecolari, come nel caso degli Ogm. In quel caso le aziende sono obbligate. Se il controllo è volontario, come nel nostro caso, si avvicinano solo quelle aziende che hanno un certo budget. Anche se è vero che le imprese nostrane sono molto preoccupate per la competitività dei loro prodotti a fronte di concorrenti esteri su cui c’è da tenere gli occhi aperti. Per fare un solo esempio, l’olio di oliva».

Quanto costa l’analisi molecolare?

«Un campione viene 50, 60 euro».

Come promuovere la cultura del controllo alimentare?

«Per quanto ci riguarda questo progetto, che negli ultimi tempi era stato un messo in disparte e che comunque è una parte solo minima della nostra attività, è in fase di rilancio. L’abbiamo presentato a Cibus, il salone internazionale dell’alimentazione di Parma e tra una settimana saremo al Sial, a Parigi».

Lodi ed Expo, un binomio che funziona?

«La città si sta muovendo bene, ci sono diversi progetti. Penso per esempio al ‘demo field’, che richiamerà qui gli addetti ai lavori, dagli operatori professionali ai delegati degli Stati, per vedere dal vivo le tecniche dell’agricoltura del futuro».

valentina.bertuccio@ilgiorno.net