Omicidio Macchi, l’urlo di una madre contro i sospetti: "Mio figlio non ha ucciso Lidia"

Varese, i ricordi della donna sui movimenti di Binda: «Era in vacanza» di GABRIELE MORONI

Stefano Binda portato in carcere dagli investigatori

Stefano Binda portato in carcere dagli investigatori

Brebbia (Varese), 8 febbraio 2016 - Signora, è certa dell’innocenza di suo figlio? «È poco ma sicuro. In quei giorni non neppure a casa». Un dolore dignitoso nelle parole che Maria Poli scambia con il cronista. La madre di Stefano Binda, in carcere dal 15 gennaio per l’omicidio di Lidia Macchi, appende la sua sicurezza all’amore e a «quei giorni», il periodo della vacanza dei ragazzi della Gioventù studentesca a Pragelato, a cui il figlio sostiene di avere partecipato, nei momenti della sparizione e della morte di Lidia. «Su mio figlio - lamenta la madre di Binda - ho letto e sentito di tutto e di più. Vorrei vedere rispettato il nostro dolore». E per il resto, cosa può dire? «Posso dire che spero che il Signore guardi giù».

Non esce altro dalla villetta bifamiliare di Brebbia dove l’arrestato viveva con la mamma, la sorella maggiore Patrizia, cinquantenne, e il figlio di questa, Jonathan. Il soggiorno a Pragelato. Si svolge dal primo al 6 gennaio del 1987. Lidia Macchi incontra il suo assassino nel tardo pomeriggio del 5. Viene ritrovata, straziata da ventinove coltellate, la mattina del 7, alla località Sass Pinì, a Cittiglio. Binda ha dichiarato di avere fatto parte della comitiva di Gs e di avere appreso della scomparsa di Lidia al ritorno a Varese, la sera dell’Epifania. Su quaranta testimoni, uno solo ha riferito di conservare memoria della presenza di Binda nella casa-vacanza. È l’unica voce fuori da un coro che pare uniforme. Il testimone viene sentito per la prima volta il 9 ottobre del 2015. Ricorda che faceva parte com Binda del gruppo dei non-sciatori, che attendevano il ritorno degli altri dalle piste. Ricorda, in particolare, un passaggio in un locale a Sestriere, con Stefano che parlava dell’importanza di conoscere l’inglese.

Si avvicina il momento dei testimoni-chiave dell’inchiesta sulla morte della studentessa di Comunione e Liberazione. Il gip di Varese, Anna Giorgetti, ha accolto la richiesta del sostituto procuratore generale di Milano, Carmen Manfredda, di ascoltarli con la formula del’incidente probatorio. La data dovrebbe essere quella del 15 febbraio. Verranno sentiti, fra gli altri, Patrizia Bianchi, amica di Binda e come lui militante di CL, la donna che ha fatto riconoscere la grafia di Binda nello scritto anonimo «In morte di un’amica» recapitato alla famiglia di Lidia il giorno dei funerali; don Giuseppe Sotgiu, all’epoca amico del cuore di Stefano Binda; Paola Bonari, l’amica e compagna di appartamento a Milano a cui Lidia Macchi fece visita in ospedale a Cittiglio, poche ore prima di essere uccisa; Stefania Macchi, sorella della vittima. I difensori di Binda, Sergio Martelli e Roberto Pasella, si erano opposti all’incidente probatorio. La loro offensiva contro l’arresto è affidata a un ricorso in Cassazione.