Gli anni di piombo, stagione da rileggere

Guardare dentro gli anni Settanta. E cercare di capire cosa ci sia davvero dietro l’etichetta degli “anni di piombo”. Ricordarne il clima di paura, ma anche di rinnovamento e libertà. E decifrare, nell’intreccio di trame del terrorismo “nero” e “rosso”, i segni di tenuta della democrazia. Anni cupi. Ma non anni sprecati di ANTONIO CALABRO'

Libri a confronto di Antonio Calabrò

Libri a confronto di Antonio Calabrò

Milano, 1 maggio 2016 - Guardare dentro gli anni Settanta. E cercare di capire cosa ci sia davvero dietro l’etichetta degli “anni di piombo”. Ricordarne il clima di paura, ma anche di rinnovamento e libertà. E decifrare, nell’intreccio di trame del terrorismo “nero” e “rosso”, i segni di tenuta della democrazia. Anni cupi. Ma non anni sprecati. Per capire meglio si può cominciare con la Storia della Repubblica di Guido Crainz, Donzelli che, in un’efficace rilettura dalla Liberazione ai nostri giorni, dedica proprio agli anni Settanta pagine intense, ricordando il clima di crisi con le definizioni di Alberto Arbasino (“ascesa e caduta delle illusioni”, tramonto dei “valori come lo Sviluppo e il Progresso”), enumerando stragi e delitti (le bombe dell’estrema destra, le pistole delle Br) e insoddisfacenti esiti giudiziari delle inchieste relative, parlando di “occasioni mancate” di riforma del Paese (sino all’uccisione del leader Dc più impegnato nelle riforme, Aldo Moro) ma anche ricordando umori e speranze di un’Italia che cambia, in letteratura, nelle arti, nella diffusa ansia di ripresa che poi sfocerà nei controversi ani Ottanta. Con una classe politica che non riesce a stare dietro ai cambiamenti della società e a governarli decentemente. Anni sanguinosi, comunque, come racconta Mirco Dondi in “L’eco del boato”, una “storia della strategia della tensione dal 1965 al 1974”, Laterza: dalla bomba di Piazza Fontana a Milano nel 1969 all’attentato al treno Italicus dell’agosto ’74. Stragismo “nero”, una dimensione “ignota agli altri paesi dell’Europa occidentale”, diretta a minare “la tenuta delle istituzioni democratiche” e “la convivenza sociale”.

Stragi, sottolinea Dondi, di cui “non sono stati condannati né i mandanti né gran parte degli esecutori”. Nel rileggere però quella stagione bisogna evitare di cadere nella tentazione delle tante dietrologie, ammonisce Vladimiro Satta ne I nemici della democrazia” - Storia degli anni di piombo -, Rizzoli. In pagine originali e ben documentate, si smentisce l’idea che “lo Stato” abbia pilotato terroristi rossi e neri. Ci sono atti giudiziari chiari, sulle responsabilità di chi ha sparato e organizzato le stragi. S’intravvedono mani di attori “interni” agli apparati pubblici. Ma non un grande complotto. Alla fine, la democrazia è uscita vincente, più forte. E c’è un gran bisogno di scrivere finalmente una storia chiara e condivisa. Per farlo, è necessario anche ricostruire alcune pagine “minori”, che riguardano episodi finiti ai margini dei grandi scontri sociali e politici e delle vicende corali più drammatiche. Come fa Andrea Kerbaker in La rimozione”, Marsilio: “Storia di Giuseppe Tavecchio, vittima dimenticata degli anni di piombo”. È un sabato del marzo 1972 quando Tavecchio, 60 anni, pensionato, esce da casa, cammina per il centro di Milano, attraversa piazza della Scala e d’improvviso si trova al centro di duri scontri tra manifestanti e polizia. È colpito al collo da un candelotto lacrimogeno, sparato ad altezza uomo da un poliziotto. Si accascia a terra, ferito. Tre giorni dopo, morirà. La sua figura sparisce presto dalle cronache: non è un manifestante di destra o di sinistra, non è un uomo delle forze dell’ordine, non è un personaggio. Vittima, sì. Ma facile da dimenticare, anche perché “quando una vittima non serve a nessuno non è più una vittima”. Kerbaker ha il merito di sottrarre all’oblio la sua figura. Ricostruirne la vita. E farne un simbolo dei tanti morti innocenti. Scelta civile di memoria e responsabilità. Anche così, si fa buona storia.

di ANTONIO CALABRO'