Solitudine tra le pagine. Per perdersi o ritrovarsi

In solitudine. Si precipita. Ci si perde. Talvolta ci si ritrova. Come testimonia “L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio” di Murakami Haruki di Antonio Calabrò

Mialno, 13 settembre 2014 -  In solitudine. Si precipita. Ci si perde. Talvolta ci si ritrova. Come testimonia “L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio” di Murakami Haruki, Einaudi. C’è l’ideogramma del verbo “costruire” in Tsukuru, il nome del protagonista. Che vive a Tokyo, fa l’ingegnere e, nomen omen, costruisce stazioni. E c’è una ferita, nella sua vita: la misteriosa espulsione dal gruppo di compagni di liceo (tre ragazzi, due ragazze, un’amicizia perfetta). Perché? Anni, per cercare di sanare quel dolore e uscire da una devastante solitudine. Poi, nell’incontro con Sara, una ragazza decisa, ecco la forza per guardarsi indietro e provare a capire. Ricerca di senso della vita e delle relazioni. L’angoscia che accompagna amore e amicizia, con la paura dell’abbandono. L’impegno per il riscatto. E, naturalmente, la musica: “Le mal du pays” di Liszt. Tutti temi cari a Murakami, in un romanzo di grande intensità: “A unire il cuore delle persone non è soltanto la sintonia dei sentimenti... ma le ferite... Non c’è pace esente da grida di dolore, non c’è accettazione che non nasca da una perdita”.

Solitudine anche per “Yoshe Kalb” di Israel J. Singer, Adelphi. Romanzo della devozione e della follia, del peccato e dell’espiazione, tra la Polonia russa e la Galizia austro-ungarica. Nahum, marito della figlia del chiassoso e ingordo rabbino di Nyesheve, è un uomo colto e pio. Ma anche un uomo in fuga, che diventa Yoshe “il tonto”. Una figura misteriosa, che ricompare e scompare, con generale turbamento. Le corti hassidiche. Le folle di pellegrini e mendicanti. Le religiosità potenti e i riti rigidi e vuoti. Un tribunale di settanta rabbini. Gli amori sconvolgenti. E un Dio che non risponde. Lasciando Nahum-Yoshe Kalb nella disperazione del silenzio solitario. Si ritrova da solo anche Javier Mallarino, protagonista de “Le reputazioni” di Juan Gabriel Vásquez, Feltrinelli.

Lo ossessiona un paradosso: “È una ben povera memoria quella che funziona solo all’indietro”. Che ne segna la vita di disegnatore satirico di “El Independiente”, quotidiano di Bogotá, in una Colombia livida eppur vitale. Un giorno del passato, drammatico ma incerto, si ripropone alla sua vita, all’indomani della celebrazione pubblica della quarantennale incorruttibile abitudine quotidiana di fustigare, in una vignetta, politici e militari, uomini di governo e imprenditori. Cos’è successo, davvero, nella sua villa in montagna, a una bambina ospite della figlia? E quanto c’entra, una tagliente vignetta di denuncia, con il suicidio d’un deputato conservatore? Scomoda, la ricerca della verità. Fallibile, la memoria? E davvero giusto, il processo della pubblica opinione? “Solamente una cosa piaceva al pubblico più dell’umiliazione, ed era l’umiliazione di chi ha umiliato”. Un’amarezza solitaria, da cui liberarsi. Costi quel che costi.

Costa moltissimo, il tentativo di riscatto dalla miseria familiare e sociale, per Turambo, il protagonista di “Gli angeli muoiono per le nostre ferite” di Yasmina Khadra, Sellerio. Nell’Algeria degli anni Trenta, dominio francese, il ragazzo arabo prova a farsi strada, tirando di boxe. Ha successo, naufraga in una storia d’amore e nel tentativo di affermare non solo la forza sportiva, ma la dignità umana. E si ritrova solissimo, in un penitenziario. Nemmeno un angelo...

Antonio Calabrò