Petrolio finito e stop a nuovi pozzi: la Dallas del Ticino sta morendo

Novara, no alle trivelle nella riva ovest del Ticino. Ma lo Sblocca Italia potrebbe liberarle di Luca Zorloni

Le trivelle di Trecate

Le trivelle di Trecate

Trecate (Novara), 6 novembre 2014 - La macchina centra, una dopo l’altra, pozzanghere profonde come laghi. La strada scarta ad angoli retti sopra una distesa di risaie. Il cielo è un mantello di nuvole nere, intorno file di piantine ingiallite e marcescenti. E filari di alberi, contrappunto a un paesaggio che più piatto non si può. Si viaggia verso il pozzo di petrolio al centro. Un castelletto di tubi e condotte di metallo, pompe e serbatoi, difeso dal filo spinato e da una sfilza di divieti sul cancello. È uno degli ultimi quattro impianti che ancora succhiano greggio dalla campagna di Novara, disseminati tra i Comuni di Trecate, Romentino e Galliate. Là dove trent’anni fa Eni ha scoperto il giacimento Villafortuna-Trecate. L’hanno ribattezzata la Dallas dell’ovest Ticino, in vent’anni qua il petrolio ha versato nelle casse dei Comuni circa 260 milioni di euro. L’oro nero, però, sta finendo. «Declino naturale» è la diagnosi dei tecnici di Eni. Non sono più i tempi del record degli 85mila barili al dì, che il Centro olio di Trecate (dove si raccoglie la produzione) raggiunse nel 1997. Oggi si vola basso, 1.200 barili al giorno. Sempre di meno, fino allo zero. Eni ha parlato chiaro: o si trova nuovo petrolio o chiuderà la centrale di Trecate, che impiega 60 persone.

La soluzione si chiama «Carisio». È il permesso che nel 2006 il ministero dello Sviluppo economico concede a Eni (capofila), Petroceltic Italia e Costruzioni condotte (che lo scorso giugno vende la sua quota alla Compagnia generale idrocarburi) per cercare petrolio in un’area di 728 chilometri quadrati a cavallo delle province di Novara, Vercelli e Biella. Il titolo resta silente fino a marzo 2012, quando Eni presenta un progetto da 40 milioni di euro per esplorare il sottosuolo dalle parti di Carpignano Sesia, un paese di 2.500 anime sulle rive del fiume Sesia, a trenta minuti d’auto a nord del serpentone di tubi di Trecate. La compagnia si propone di trivellare un pozzo tra i campi, «a 350 metri a ovest dalle prime case della periferia» del borgo, con cui sondare il terreno. Tuttavia l’accoglienza è tiepida, per non dire ostile. Il municipio di Carpignano indice un referendum, che segna la vittoria schiacciante del fronte del no. Si costituisce un comitato, «Difesa nostro territorio» (Dnt), che contesta l’ubicazione del pozzo in una zona a rischio alluvionale, le royalties promesse dalla società, l’inquinamento della falda acquifera.

Il malcontento contagia i Comuni vicini: Fara Novarese, Sillavengo, Sizzano, Ghemme. Lungo la strada che li collega, tra vigne e campi di mais, la pioggia affloscia i cartelloni «No al petrolio» che, due anni dopo, marcano ancora la distanza tra Eni e i piccoli Comuni. Perché il cane a sei zampe, ritirato il primo progetto, ne ha presentato un secondo, spostando il pozzo a 1,5 chilometri da Carpignano grazie a un tubo a L. «Una nostra tecnologia», rivendica la compagnia. Risultato: i Comuni sono ancora più arrabbiati.

«Ecco dove vorrebbero scavare», dice Salvatore Fiori, militante Dnt, allargando le braccia su prati e campi di mais incorniciati da un bosco. L’erba corona un pozzo di verderame per le vigne. «Questa è un’area agricola, di produzione di riso, vino dop e miele», spiega Alberto Benedetti, consigliere comunale a Carpignano. Ha militato nel Dnt, come l’attuale sindaco, Giuseppe Maio. «Eni ci aveva detto che se il territorio si fosse dimostrato ostile, si sarebbe tirata indietro – lamenta Maio –. E invece pochi giorni fa ha ribadito che presenterà un progetto in Regione». Poi c’è l’incognita Sblocca Italia: i sindaci temono che il provvedimento governativo possa far passare l’autorizzazione alle trivelle sopra le loro teste. «A quel punto li portiamo al Tar», incalza Benedetti.

La piazza centrale di Carpignano è la roccaforte dei «no-trivelle». Dai balconi penzolano le dichiarazioni di guerra. Una in particolare – «Il petrolio inquinerà la nostra acqua e quella di Novara» – si riferisce a uno dei timori condivisi anche dal capoluogo, dalla Provincia e dalla società che gestisce l’acquedotto novarese e cioè che a Carpignano Eni scavi troppo vicino alle aree di ricarica della falda acquifera e alle zone di riserva. Il fronte del no si sta allargando. Anche Romentino, che per vent’anni ha vissuto con il petrolio made in Trecate, vuole tornare indietro. «Bucare a Carpignano non risolve – spiega il sindaco, Alessio Biondo –. Le royalties? Ormai sono diminuite, quest’anno abbiamo presto 165mila euro». E contro i nuovi permessi concessi nelle vicinanze, «Cascina Alberto» e «Cascina Graziosa», i no-triv ambiscono a mobilitare oltre un milione di cittadini da Novara a Biella. Domani sera si conteranno all’auditorium Bnp di Novara per un incontro organizzato dal Dnt. Il titolo è la domanda che assilla tutti da decenni: «Petrolio o territorio?».

luca.zorloni@ilgiorno.net

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