Sopravvissuti ai lager, i bambini diventati adulti raccontano la speranza

Molti di loro furono ospitati dopo la Seconda Guerra Mondiale a villa Fagiana

I sopravvissuti ai campi di sterminio

I sopravvissuti ai campi di sterminio

Magenta (Milano), 29 settembre 2015 - C’è chi dice che l’orrore possa essere raccontato solo attraverso l’orrore stesso. I volti della disperazione e i corpi scavati dei deportati di Auschwitz, che dopo più di mezzo secolo ci guardano attraverso le fotografie e i poveri oggetti della loro quotidianità conservati nei musei, sono la prova più cruda e diretta delle terribili sofferenze subite dal popolo ebraico durante gli anni della Seconda guerra mondiale. Ma Magenta insegna che c’è un altro modo per raccontare l’orrore: attraverso la speranza. Ieri le amministrazioni di Magenta e Corbetta hanno accolto con calore il gruppo dei “Bambini di Selvino’’, rappresentanti di quegli ottocento piccoli ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio e accolti, dopo la guerra, nella comunità di Sciesopoli a Selvino (Bergamo).

Qui, nella Casa dei Bambini, i sopravvissuti sono stati nutriti, curati ed educati: insomma, restituiti alla vita. Molti di loro transitarono o furono ospitati nel campo profughi di villa Fagiana (da non confondere con l’attuale sezione del Parco del Ticino) nei boschi tra Boffalora e Magenta, ed è qui che gli ex bambini, oggi anziani, sono tornati settant’anni dopo per rivivere un pezzo della loro infanzia tormentata. «Quella che stiamo ascoltando oggi è una storia di dolore e di violenza - ha detto il sindaco di Boffalora Curzio Trezzani - ma anche di speranza. È grazie ai bambini di Selvino che oggi noi possiamo raccontare ai nostri bambini ciò che tanti anni fa è successo nel nostro Paese e che non deve più succedere. Il nostro territorio, in questo senso, è ricco di testimonianze positive e di gesti solidali». Uno su tutti, va ricordato, quello dei sei operai magentini che nel 1944 salvarono la famiglia ebrea Molho nascondendola nel magazzino dell’azienda in cui lavoravano. Ecco perché anche l’allora piccolo Dino Molho (oggi 85enne) ha voluto essere presente al saluto istituzionale in casa Giacobbe: «Ricordo bene che quando ero ragazzo andavo spesso in bicicletta alla Fagiana dove c’erano questi bambini sopravvissuti alla tragedia dei campi di concentramento - ha raccontato Dino Molho -. Se siamo qui è perché alcune persone, oggi Giusti tra le Nazioni, hanno salvato la mia vita e restituito agli allora piccoli profughi una speranza concreta. Noi non possiamo dimenticare né la sofferenza né l’emozione della solidarietà, ma è importante che nemmeno le nuove generazioni perdano la memoria di ciò che è stato».

Perché ciò che è stato, se non lo si commemora e non lo si tramanda ai figli e ai nipoti, può essere perso. «C’è qualcuno che vorrebbe farci dimenticare tutto - ha ricordato il sindaco di Magenta Marco Invernizzi -. C’è chi sta facendo il possibile perché il passato venga cancellato con un colpo di spugna, con la scusa di guardare avanti senza indugiare nei ricordi. Ma per costruire il futuro è necessario avere ben presente cosa è successo nel nostro passato collettivo. I bambini di Selvino sono una preziosa testimonianza in questo senso: finché avremo tra noi chi l’orrore l’ha vissuto in prima persona sarà più semplice non dimenticare, ma la vera sfida sarà perpetrare la memoria per sempre, oltre le barriere temporali e generazionali. Lo dobbiamo a quella cosa che chiamiamo umanità». 

di Camilla Garavaglia