"Andiamo a rubare in Italia. Lì le pene sono più miti"

Legnano, inquitante intercettazione del capo della banda di albanesi arrestato dalla polizia

Indaga la polizia

Indaga la polizia

Legnano (Milano), 28 maggio 2015 - Una mezza colluttazione con i poliziotti travestiti da postini, il tentativo di fuga dalla finestra del bagno, le volanti a sirene spiegate. Si è conclusa negli uffici del commissariato di Polizia di Legnano la latitanza di Pannocchia, “nome d’arte “ del capo di una pericolosa gang criminale albanese dedita ai furti negli appartamenti e attiva fra Piemonte e Lombardia. Sono le undici e mezza di martedì mattina quando degli agenti vestiti da finti corrieri bussano alla porta dell’abitazione dell’uomo. In via Massimo d’Azeglio. Ad aprire è la compagna. Non ci vuole molto prima che mangi la foglia e si renda conto che quelli che ha davanti sono poliziotti. Urla al fidanzato di scappare mentre lei cerca di bloccarli. Il 30enne Indrit K. si chiude in bagno. Cerca una scappatoia dalla finestra. Tutto inutile. Viene ammanettato. Ed è una volta giunto negli uffici di via Gilardelli che il calibro criminale dell’albanese emerge in tutta la sua evidenza. Attivamente ricercato dalla Polizia, forse è stato anche protagonista dell’inseguimento rocambolesco per le vie della città di una settimana fa (l’auto dei ladri che si schianta in corso Italia e la banda che si dilegua lungo i binari), il vice questore Francesco Anelli e l’ispettore Amsicora Concas realizzano di avere fra le mani l’ultimo componente ancora latitante di un gruppo di dieci professionisti del crimine con all’attivo oltre venti incursioni messe a segno fra la provincia di Asti e il Monzese.

Su Indrit K., inoltre, pendono un ordine d’incarcerazione e uno di espulsione dall’Italia. Gli era stato anche ritirato il passaporto. Ma questo non l’aveva fermato. Un uomo pericoloso Indrit: l’unico della gang autorizzato a possedere un’arma. In casa gli agenti gli sequestrano quattro orologi di valore fra cui un Cartier. Dalle intercettazioni è inoltre emerso che gli albanesi avevano scelto l’Italia come patria d’adozione per la mitezza delle leggi. E per la facilità a trovare lavoro come cubiste nei locali notturni. Questa infatti la “professione” a Milano della compagna d’avventura. Fino all’altro ieri.

di Ivan Albarelli