Omicidio di Magnago, Deborah straziata dai fendenti: "Su di lei una ferocia inaudita"

Il referto legale: colpita più volte sul torace e in faccia

Deborah Fuso (Studio Sally)

Deborah Fuso (Studio Sally)

Magnago (Milano), 22 maggio 2016 - Deborah ha tentato di sfuggire alla morte, ha percorso con il sangue che le scorreva addosso le scale che dalla mansarda dove viveva con il fidanzato Arturo, sperando di riuscire ad arrivare al portone del condominio e salvarsi. Non ci è mai arrivata. Lui l’ha raggiunta e colpita nuovamente, fin quando il cuore della giovane ha ceduto sotto i fendenti dell’uomo che era convinta l’amasse. Quanti colpi Arturo Saraceno, trentatreenne originario di Potenza, avrebbe inferto alla sua promessa sposa lo potrà dire solo la relazione autoptica del medico legale, incaricato dalla Procura di Busto Arsizio venerdì mattina, i cui risultati non sono ancora stati resi noti. Sono dunque ore di attesa per la famiglia della venticinquenne uccisa dall’ex compagno, martedì all’ora di pranzo, nella loro casa di Magnago. Lo strazio e il dolore che li accompagna è dovuto anche all’incertezza rispetto ai minuti di agonia che la loro giovane congiunta ha dovuto attraversare, prima di morire. Di certo vi è solamente, ad oggi, il primo referto del medico legale intervenuto sul posto, pochi minuti dopo l’omicidio. I segni delle coltellate sul corpo di Deborah Fuso, ad un primo esame, sono stati individuati sul suo volto, sul collo e sul torace, all’altezza delle spalle. Quali e quante possano essere state le coltellate mortali, lo stabilirà il secondo esame.

Se «Debi De-de», come amava definirsi sul suo profilo Facebook, sia deceduta per emorragia, per un trauma cranico o per una coltellata al cuore sarà la scienza a decretarlo. Dopo essere stata colpita la viso, secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti, la giovane avrebbe inforcato la porta di casa, urlando e facendo sì che i vicini chiamassero i soccorsi pensando ad una lite, per poi precipitarsi giù dalle scale.

Arturo Saraceno, in preda a quello che ha definito lui stesso «un raptus», l’avrebbe seguita con il coltello insanguinato in mano. E una volta arrivato sul pianerottolo del condominio l’avrebbe colpita ancora e ancora, fino a farla crollare a terra, svenuta. Poi, sempre con lo stesso coltello in pugno, sarebbe rientrato in casa e si sarebbe colpito a sua volta al torace per cinque volte. Ferite inferte, a detta sua, perché voleva morire anche lui.