Al lavoro su una macchina del 1920: "Così la Tosi diventerà un museo"

Proprietà diversa, soliti problemi. Legnano teme la chiusura della fabbrica

Un operaio della Franco Tosi

Un operaio della Franco Tosi

Legnano (Milano), 5 gennaio 2017 - Uno dei macchinari della Franco Tosi, utilizzato per la lavorazione di pioli, è stato ribattezzato dagli operai “Garibaldi”, per la sua “antichità”. Fu installato nel lontano 1920 e, pezzo da museo più che da fabbrica, viene ancora utilizzato. A raccontare l’aneddoto è Diego Colombo, carpentiere di 54 anni e rappresentante sindacale della Fiom-Cgil, che ha vissuto la storia travagliata, negli ultimi vent’anni, della Franco Tosi. Scioperi e occupazioni dello stabilimento, battaglie sindacali e la firma nel corso degli anni di tre accordi per la mobilità e 13 per la cassa integrazione. Ore trascorse a incontrare colleghi che a volte venivano da lui «con le lacrime agli occhi» per aver perso il lavoro. L’azienda è passata in diverse mani, ma la macchina “Garibaldi” è rimasta sempre al suo posto. «La macchina è il simbolo dei mancati investimenti nell’azienda. Lavoriamo con apparecchiature obsolete quando in aziende estere del settore, come Siemens o Mitsubishi, sono state introdotte le tecnologie più moderne. È inevitabile essere schiacciati dalla concorrenza».

Quando è iniziato il declino della Tosi?

«In passato il mercato era drogato, perché grosse imprese come Enel acquistavano turbine solo da aziende italiane. Adesso si muovono a livello globale, andando da chi è in grado di offrire le migliori condizioni, e la Tosi non è rimasta al passo con i tempi. Questa è una realtà dove ci sono competenze e professionalità enormi, dove in passato le persone lavoravano con entusiasmo e ora vivono nell’incertezza».

Le trattative tra il patron Alberto Presezzi e il ministero per ottenere gli aiuti necessari per evitare il trasferimento in Brianza si sono arenate. Che scenario all’orizzonte?

«Per il numero di dipendenti attuale lo spazio, 77mila metri quadrati, è eccessivo. Se non ci saranno cambiamenti in positivo penso che per Presezzi non valga la pena rimanere a Legnano, ma noi in Brianza non ci andiamo, siamo pronti a opporci in tutti i modi. Bisogna anche pensare che chiudere la Tosi significa privare Legnano di un simbolo, svuotare la città».

Una situazione complessa, coi lavoratori che hanno già vissuto anni difficili.

«Due anni fa siamo rimasti per cinque mesi senza stipendio, prima della cassa integrazione. Dopo il commissariamento è subentrato Presezzi, credevamo in uno sviluppo che invece finora non c’è stato».

Che cosa servirebbe per rilanciare l’azienda?

«Sono necessari gli investimenti e una visione industriale diversa. Adesso lavoriamo quasi esclusivamente componenti per conto terzi, mentre vogliamo tornare a produrre turbine. Stiamo terminando una turbina destinata all’Iran, poi non abbiamo più commesse. Mette tristezza pensare a cosa è diventata la Tosi. Per fare un esempio, negli anni d’oro era come una Porsche. Ora è come la mia vecchia Renault4».