Legnano, 4 giugno 2014 - Chi è il responsabile della morte di Matilda Borin, uccisa a 22 mesi da un calcio alla schiena, tanto violento da spappolare la milza e provocare il distacco di un rene? Nessuno. Nessuna delle due persone che erano con lei. Nove anni dopo. Ieri il gup di Vercelli Paolo Bargero ha confermato il non luogo a procedere per Antonio Cangialosi, ex compagno dela madre della piccola. La donna, Elena Romani, ex hostess di Legnano, che aveva avuto la bambina da un uomo di Busto Arsizio, era stata assolta nei tre gradi di giudizio (in Appello per non aver commesso il fatto). Dopo l’assoluzione della Romani, il non luogo a procedere per Cangialosi era stato revocato e la procura di Vercelli aveva chiesto il rinvio a giudizio per omicidio preterintenzionale.

Elena Romani e Antonio Cangialosi erano presenti. La donna ha una nuova famiglia e due figli. Cangialosi, un passato di bodyguard, oggi lavora per una ditta di autotrasporti. I legali della Romani, Tiberio Massironi e Roberto Scheda annunciano il ricorso in Cassazione. «Abbiamo due sentenze - dice Massironi - assolutamente definitive e intoccabili nei confronti della madre di Matilda. Questa sentenza di non luogo a procedere non sarà mai definitiva. Ci auguriamo che la Suprema Corte la ribalti, ma se anche così non fosse fatti nuovi, nuovi elementi potrebbero riaprire il caso per il solo Cangialosi. Elena Romani ha conquistato la sua assoluzione piena, giusta, in nove anni di lotta. Per questa sentenza è bastata un’ora e mezzo. È un caso unico, unico come quel calcio che ha ucciso la bambina. Elena è devastata. Chiedeva giustizia non per sé ma per sua figlia. È uscito questo. Una cosa aberrante».

Di segno opposto i commmenti dei difensori di Cangialosi, Sandro e Andrea Delmastro. «Abbiamo trovato - dice Sandro Delmastro - un magistrato che non è abituato al processo mediatico e che ha voluto esaminare i risultati acquisiti attraverso l’ultima perizia, che di fatto ha rafforzato l’estraneità di Cangialosi alla vicenda. Noi ritenevamo questa decisione non solo possibile, ma anche probabile: fa onore alla giustizia, anche se mi rendo conto che gli italiani, come i colleghi difensori della Romani, si chiederanno chi ha ucciso questa bambina. Noi non lo sappiamo. Sappiamo solo che nei confronti di Cangialosi, sia prima che ora, non ci sono elementi per andare a giudizio».

Elena Romani, 31 anni all’epoca, e Antonio Cangialosi, suo fresco fidanzato, erano soli con la bambina nella casa colonica di proprietà dell’uomo a Roasio, nelle campagne del Vercellese. Era il pomeriggio del 2 luglio del 2005. Dopo avere lasciato la bambina nel letto matrimoniale, si erano appartati in soggiorno dove si erano assopiti. Il pianto della piccola aveva fatto accorrere la donna. Matilda aveva vomitato, sporcando cuscino e coprimaterasso. Elena Romani l’aveva lavata ed era uscita in cortile a stendere i panni bagnati, mentre Cangialosi mostrava a Matilda un cartone animato. Era stato l’uomo ad accorgersi del malore della bambina e a chiamare l’ambulanza.

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