Inveruno (Milano), 3 aprile 2014 - «L’esecutore materiale dell’uccisione del ragazzo polacco? Sono io. Sono stato io a sparare quella sera». Domenico Cutrì, l’ergastolano protagonista della clamorosa evasione dal tribunale di Gallarate del 3 febbraio scorso, ribalta di 360 gradi la ricostruzione dell’omicidio di Trecate, in provincia di Novara, avvenuto nel giugno del 2006 e che gli è valso - come mandante del delitto - la condanna al carcere a vita in corte d’Assise a Torino. Condanna alla quale ha cercato di scampare con una fuga durata una settimana e pagata con la morte del fratello Antonino.
L’autoaccusa che compie, messa nero su bianco durante uno degli interrogatori effettuati dal pm della Procura di Busto Arsizio, Raffaella Zappatini, è una scelta tanto clamorosa quanto sorprendente. Perché gli atti giudiziari che sono passati al vaglio dei giudici di primo grado a Novara, e poi di quelli dell’Appello a Torino, raccontano un’altra versione di quel terribile fatto di cronaca: a premere il grilletto e porre fine all’esistenza del barista Lukasz Kobrzeniecki sarebbe stato un amico di Domenico, Manuel Martelli, poi condannato a 16 anni di carcere (e oggi già rimesso in libertà). «Non volevamo ucciderlo, puntavamo alle gambe. E non c’è nessuna spiegazione passionale. Il giovane polacco stava dando fastidio a Martelli e bisognava dargli una lezione. Tutto qui».
Cutrì, secondo i giudici piemontesi, sarebbe stato il mandante dell’assassinio. E proprio per questo suo ruolo, e per le futili ragioni che lo avrebbero motivato (il polacco insidiava la sua ragazza), si meritava una condanna più pesante. L’ergastolo, appunto. Oggi, alla vigilia della sentenza della Corte di Cassazione che domani dovrà confermare o meno la massima pena, arriva questa sorprendente rilettura. Perché compierla adesso e non in tribunale all’epoca del dibattimento? Difficile capirlo. «Ho sbagliato a stare zitto finora – dice – è arrivato il momento di fare chiarezza». Ma potrebbe anche trattarsi di una precisa strategia: cercare di convincere, con questa ritrattazione, i giudici della Suprema corte che quel processo dev’essere invalidato in quanto sono emersi fatti sostanziali che ne inficiano il risultato. Insomma: riaprire il caso. A quel punto la condanna all’ergastolo potrebbe essere sostituita da un periodo di detenzione minore, per esempio trent’anni. Ma i giudici potrebbero anche ritenere l’ammissione un’aggravante e confermare l’ergastolo. Anche perché accanto a questa vicenda, scorre parallela quella della rocambolesca evasione di cui Domenico deve rispondere assieme al fratello più piccolo, Daniele. Evasione che ha provocato un morto, l’altro fratello Antonino, e due feriti, le guardie carcerarie.
di Ivan Albarelli
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