Abbiategrasso (Milano), 8 marzo 2014 -  Ha da poco compiuto 91 anni, ma non ha voglia di ritirarsi in pensione. «Il lavoro è la mia vita», dice Carlo Vichi. Lui ha creato dal nulla la Mivar, un colosso del tv color che negli anni d’oro riusciva a tener testa a marchi come Sony, Philips e Grundig e a produrre fino a un milione di televisori all’anno. Ora, dopo lo tsunami degli Lcd, Mivar è crollata e con lei è sparita l’unica azienda italiana di televisori. I capannoni di via Dante, sede storica dell’azienda abbiatense, sono deserti. E i nuovi capannoni costruiti qualche centinaio di metri più avanti vicino al Naviglio Grande non hanno mai sfornato un solo televisore.

Ma Vichi non ci sta. Non vuole che quella fabbrica avveniristica, costruita col lavoro di una vita, rimanga una cattedrale nel deserto. Così lancia la sfida: «Quella fabbrica vale 200 milioni. Sono disposto a concederla in affitto gratuitamente a una società che si impegni a produrre televisori qui ad Abbiategrasso, in Italia. Non voglio un solo centesimo. L’unica condizione è che gli affittuari si impegnino formalmente ad assumere 1.200 lavoratori, abbiatensi o milanesi. Voglio restituire un lavoro a chi è stato costretto a lasciare Mivar». Il padre padrone di Mivar sta facendo di tutto per riportare lavoro e occupazione ad Abbiategrasso, dove alla fine degli anni Sessanta ha costruito il suo secondo stabilimento.

La prima fabbrica Mivar, acronimo di “Milano Vichi apparecchi radio”, era sorta a Milano nel 1958 e occupava 400 lavoratori. Ad Abbiategrasso, nella nuova sede, i dipendenti salgono a 800. Un’azienda in continua espansione, con Vichi determinato a dare alla luce una nuova creatura: uno stabilimento avveniristico, immerso nel verde e con un collegamento protetto per i lavoratori abbiatensi che avrebbero raggiunto la fabbrica in bicicletta.

Un sogno svanito. «Per quanto ho potuto, ho difeso la mia azienda e chi ci lavorava - dice Vichi, ancora col piglio dell’imprenditore rampante -. La crisi per noi è iniziata nel 2000, proprio quando è stato completato il nuovo stabilimento. Da allora l’azienda non si è più ripresa. Per tenerla in vita ho speso un centinaio di milioni di euro. La mia nuova proposta non sta ricevendo il sostegno che avevo sperato».
Il cruccio più grande di Vichi è proprio questo: i politici che sono sfilati negli ultimi mesi in azienda promettendo il loro interessamento non si sono più fatti vivi. «L’elenco è lungo, ma è inutile fare nomi - dice Vichi -. Nessuno sostiene la mia idea, ma io terrò duro fino all’ultimo».