Legnano, 27 marzo 2013 - Un marchio di fabbrica, è proprio il caso di dirlo. Un marchio che fa morire di lavoro. Ancora. Anche nel 2013, quando di lavoro ce n’è poco. Questa mattina a Milano si aprirà il secondo processo per stabilire di chi sia la responsabilità della morte di 32 lavoratori di Franco Tosi ai tempi in cui era parte di Ansaldo.

«Un colpevole evidente e indubbio già c’è: l’amianto» tuona Renato Esmeraldi, segretario della Fiom Cgil. Proprio questa mattina il sindacato si costituirà parte civile nel processo. «La Costituzione prevede che il diritto alla salute sia non solo individuale, ma anche collettivo - spiega Esmeraldi -. Il sindacato è un organismo che tutela anche la collettività e quindi ci siamo sentiti in dovere di diventare parte civile. Per non parlare del fatto che Tosi non ha rispettato un accordo sindacale negli anni Ottanta in merito a questo tema». «Stiamo sostenendo numerose famiglie delle vittime dell’amianto e chiederemo anche per loro un risarcimento sostanzioso - sottolinea Luigi Soresini della Fiom -. Qualcuno ha idea di cosa voglia dire perdere un genitore che ha poco meno di sessant’anni o un marito che vorrebbe godersi la pensione e invece si trova a combattere contro una malattia del genere? È terribile».

Alla Franco Tosi tutti, dagli anni Quaranta ai Novanta, volevano lavorare. Nessuno però avrebbe mai immaginato che quel “Pane in vita” che si diceva che l’azienda garantisse si sarebbe presto trasformato in una condanna. Oggi in tribunale si comincerà a parlare di 32 lavoratori che sono morti per l’amianto nella storica fabbrica legnanese, ma le vittime dell’amianto alla Tosi Ansaldo sono molte di più.

Mesotelioma, placche pleuriche: i termini tecnici sono tanti, l’epilogo sempre lo stesso. L’amianto ha ucciso e uccide ancora. E, ironia della sorte, uccide chi per anni ha compiuto vicino all’amianto l’atto della vita per eccellenza: respirare. «Gli effetti si sentono ancora oggi e chissà per quanto tempo - dà l’allarme Soresini -. Nel corso degli anni i medici degli ospedali della zona sono arrivati a formulare un’ipotesi, che purtroppo corrisponde a realtà, terribile: chi ha lavorato in aziende come la Tosi o come la centrale di Turbigo è più esposto a determinati tipi di tumore».

Il mesotelioma è diretto discendente dell’amianto: non sarebbe probabilmente mai esistito se i lavoratori non avessero respirato quel veleno per anni. «I vertici di Tosi Ansaldo sapevano - commenta Massimo Scotton, operaio in pensione e già Rsu Tosi - e anche da parecchio tempo. Nel 1980 avevano firmato un accordo sindacale che prevedeva lo smaltimento dell’amianto. L’interno dei capannoni era pieno di amianto, ma la proprietà di allora non volle intervenire: si sarebbe dovuto bonificare tutto fermando la produzione e questo per i vertici aziendali era inaccettabile. Questo ha fatto in modo che per anni in molti respirassero l’amianto».

Soltanto il gesto coraggioso di un lavoratore, poi deceduto, che una notte ha spaccato una delle coperture d’amianto e ne ha portato un pezzo al sindacato per farlo analizzare ha fatto emergere con prepotenza il problema. «Ora chi ha responsabilità deve pagare per la morte di tutti questi lavoratori - affermano i sindacalisti -. I decessi continuano e sono ben più di quei 32 di cui si parla in aula. Sono morti che si sarebbero potute evitare».

di Cristiana Mariani