Legnano, 15 agosto 2012 - In sella a una bici di bambù dallo Zambia a Londra per le Paralimpiadi, con un messaggio di speranza: questo il viaggio tra sport, avventura e solidarietà di Matteo Sametti. Il legnanese, 43enne, commercialista e revisore dei conti che ormai da più di sei anni ha lasciato la libera professione buttando all’aria libri contabili e bilanci per dedicarsi alla cooperazione internazionale in Africa, è in questi giorni protagonista di un’impresa che travalica i confini sportivi.

Una vera e propria sfida da ultramaratoneta del ciclismo. Dopo la 52esima tappa, Sametti è attualmente in Egitto nei pressi di Luxor, lui che è partito da Chongwe vicino Lusaka nello Zambia il 16 giugno e ha già attraversato Malawi, Tanzania, Kenia, Etiopia, Sudan e ora deve raggiungere Il Cairo prima di arrivare in Italia per proseguire poi il tour attraverso la Francia.
Un viaggio quasi infinito durante il quale ha dormito nelle capanne delle popolazioni locali di volta in volta incontrate, si è riposato all’ombra degli alberi della savana e ha mangiato i piatti tipici che gli venivano offerti dalle tribù.
Il traguardo è giungere in tempo a Dunkerque, sulla Manica, per imbarcarsi per l’Inghilterra e arrivare all’inaugurazione dei Giochi a Londra il 29 agosto.

Perché quest’avventura?
«Mi piace viaggiare e amo la bicicletta: ho fatto triathlon in passato. Quest’impresa sotto l’egida di Sport2build, organizzazione presieduta in Zambia dalla legnanese Serena Borsani, per favorire lo sport tra i bambini e i giovani africani, vuole proprio essere ambasciatrice di questi ideali di speranza, pace, sviluppo e cambiamento per le popolazioni toccate dal mio raid ciclistico fino all’Olimpiade londinese».

Una bicicletta di bambù?
«È stata costruita in Zambia: il telaio in bambù è dal punto di vista tecnico simile a una struttura in alluminio. Mi sto trovando molto bene e al termine di ogni tappa, che varia dai 120 ai 130 chilometri, ho trovato ospitalità tra la gente comune che ha apprezzato il significato di questo mio lungo viaggio».

Il clima non è dei più semplici…
«In Sudan ci sono stati anche circa 57 gradi di temperatura. L’Etiopia mi ha colpito per il calore dell’ospitalità: è stato favoloso pedalare sino ai 3.100 metri su quegli altipiani. Emozioni impossibili da descrivere».
 

Alla scrivania da commercialista ha preferito questo tipo di vita. Come mai?
«Ero arrivato a un punto della mia vita in cui mi sono detto che certe cose non potevo aspettare di farle una volta raggiunta l’età della pensione. Se stai sempre ad aspettare il momento giusto poi non concludi nulla».

Con questa impresa “al limite” cosa vuole dimostrare?
«Con poco si può fare sempre molto, conta lo spirito giusto. Questa è un’escursione organizzata non con tanti mezzi, problema tipico dell’Africa: a queste carenze bisogna sopperire con la caparbietà e la costanza. In Sudan più volte ho dovuto pedalare tra temperature altissime e ho dovuto fare i conti con il vento contrario. Arrivando fino al traguardo di Londra desidero dare una speranza concreta di entusiasmo alle popolazioni delle terre che sto toccando».

di Luca Di Falco