Magenta, 22 giugno 2011- La consigliere Silvia Minardi ha rassegnato le dimissioni dal ruolo di capogruppo del Partito democratico. Decisione irrevocabile la cui motivazione «è politica», come lei stessa afferma. Insomma, non ha condiviso né come il suo partito è giunto alla designazione del candidato alla poltrona di sindaco in vista delle consultazioni elettorali del 2012, né come la notizia è stata comunicata. La qual cosa ha pure suscitato più di una perplessità, di un «perché», di un «come mai», in chi segue le vicende politiche locali. È parso parecchio strano quell’ «aver fatto un passo indietro» della Minardi rispetto a Marco Invernizzi, e non perché quest’ultimo non sia persona valida e degna di essere proposta e proporsi per il governo della città, chi segue la vita culturale magentina ben ne conosce l’impegno e il contributo. Non è questo. Piuttosto pare che l’indicazione di una candidatura per un ruolo pregnante, anche per dare peso allo stesso aspirante alla poltrona di primo cittadino, sarebbe risultata più convincente se uscita da votazioni più estese (gli iscritti al Pd non sono poi numericamente una vagonata), allargate ai simpatizzanti, allo stuolo degli elettori magentini del partito di Pierluigi Bersani (2900 i voti nelle ultime elezioni).

Insomma una scelta en plein air, più partecipata, una primaria con tutti i crismi. Chi bazzica in piazza questo pensa. E non si capacita pure del fatto, ribadito il rispetto per Invernizzi, come il centrosinistra abbia voluto accantonare un po’ troppo in fretta una candidata della esperienza e della bravura della Minardi, che risulta difficile credere da subito, dopo aver dato la propria disponibilità e forte di una pratica politica di 15 anni, essersi adeguata al programma di chi si affaccia all’agone politico per la prima volta. Forse, vien da pensare, è proprio la bravura che non le si perdona. Perché della Silvia si può dire che è un tantino ‘professoressa’ anche fuori dall’aula o se si preferisce ‘prima della classe’, che magari dovrebbe fare un sorriso in più ed indulgere maggiormente di fronte a qualche umana diffusa trasversale mediocrità, aggiungiamo che d’acchito può non avere un’aria simpaticona (cosa che alla fine poi non paga neppure), ma è inattaccabile sul piano della competenza, della preparazione, dell’intelligenza.

Si può pensarla diversamente da lei, ma le personali qualità le vanno riconosciute e le sono riconosciute anche, magari obtorto collo, dagli avversari politici che immaginiamo abbiamo pure tirato un respirino di sollievo. No, anche la casalinga di Magenta (non di Voghera) pensa che ci sia ‘del marcio in Danimarca’, come ha sentito dire in qualche talk show. E la Minardi che farà? «Il Pd è la mia casa», osserva con rammarico e non aggiunge altro. Ma il ‘dado è stato tratto’? Si domanda la casalinga di cui sopra che alle medie il latino lo aveva studiato e la nota frase di Giulio Cesare non l’ha mai scordata.