Legnano, 6 dicembre 2010- L'appartamento è ancora lì sigillato dalle autorità di pubblica sicurezza. Posto sotto sequestro. Al terzo piano di un caseggiato popolare piuttosto malconcio. Via Garcia Lorca 5, rione Canazza. La casa dove si è consumato l’omicidio del tunisino Mohamed Ben Khalifa, 52 anni, la notte del sette maggio scorso, è ancora nelle stesse condizioni in cui l’hanno lasciata gli agenti dopo l’irruzione compiuta il 17 agosto. Nel pianerottolo regna un silenzio surreale.

Non c'è nessuno in giro come non c’è nessuno nell’androne, dove sul citofono è ancora ben indicato il nome del tunisino. I vicini di casa? Chiusi in un “silenzio stampa” che non ammette spiragli. La signora che vive nell’appartamento a destra, ad esempio, non vuole nemmeno aprire la porta. Al piano di sotto, quello in cui si sarebbe dovuto sentire tutto quanto stava avvenendo di sopra - dai rumori provocati dai due gigolo quando nella furia provocata dai fumi dell’alcol hanno cominciato a distruggere mobili e sedie, alle urla del tunisino straziato - vive un’anziana di un’ottantina d’anni. Ad aprire la porta è la badante. È lei a lasciare intendere che, di rumori, la donna può averne sentiti davvero pochi.

Un piano, ancora più sotto, il primo. È qui che abita la donna polacca che ha fatto scattare l’inchiesta giudiziaria a carico di un agente di polizia: quella sera chiamò il 113 - così è riportato nel fascicolo d’inchiesta - ma dall’altra parte del telefono (chissà: forse anche per oggettive difficoltà legate alla lingua, anche se l’italiano parlato dalla donna è più che discreto) nessuno ritenne opportuno inviare una volante. Un errore di valutazione costato la vita al maghrebino: morirà di stenti, sete e fame dopo probabilmente tre giorni. Immobilizzato ai piedi del letto. La signora polacca, ieri pomeriggio, era a casa. Ma pure per lei di aprire non se ne parla. Lascia intendere che ha paura. «E come faccio a sapere che lei è un giornalista? E se qualcuno viene qui a farmi del male?». Ha solo compiuto il suo dovere, fa capire. In un palazzo in cui quasi nessuno conosceva Mohamed - ad agosto la gente lo descrisse sommariamente come un “lavoratore” - È già qualcosa. Ora di lui, che a Legnano era venuto a fare il muratore, rimane solo un nome scritto alla bell’e meglio a biro sul citofono.