Legnano, 14 luglio 2010 - È il Legnanese la Gomorra della provincia di Milano, la terra promessa della criminalità organizzata proveniente dalla Calabria. Dal nostro territorio ha preso infatti il via l’operazione più imponente (300 arresti in tutta Italia, di cui decine tra Legnano e Comuni limitrofi) mai eseguita dalle forze dell’ordine contro la ’ndrangheta: «Siamo partiti dall’omicidio di Carmelo Novella, detto “Nuzzo”, ucciso il 14 luglio del 2008 in un bar di San Vittore Olona, colpevole di aver tentato al nord la strada dell’autonomia - hanno precisato ieri i procuratori Ilda Boccassini, Alessandra Dolce e Paolo Storari -. Novella era infatti una figura emergente della criminalità lombarda e il suo quartier generale era nel Legnanese. In sostanza, i capi clan calabresi avevano deciso di fargli pagare le sue tentazioni autonomiste e questo perché, nonostante lo scettro del potere restava ancora saldamente nelle loro mani, le famiglie lombarde stavano raggiungendo un potere, soprattutto a livello economico, che metteva paura».

 

Due anni di indagini ad ampio raggio d’azione e senza precedenti portate avanti della Direzione distrettuale antimafia di Milano e dalle quali è emerso come di fatto le cosche calabresi avessero stretto con i loro tentacoli la città del Carroccio e la sua immediata cintura urbana. Un’occupazione criminosa, la loro, che si estendeva su interi settori economici (soprattutto quello dell’edilizia, della ristorazione e dei locali by night), facendo sì che negli ultimi anni l’Altomilanese avesse quasi imparato a convivere con pericolosi affiliati dell’ndraghata trapiantati al nord: a loro sarebbero riconducibili tentati omicidi, estorsioni contro numerose imprese della nostra zona, rapine, incendi, intimidazioni e diversi episodi di usura e di riciclaggio.

 

Un decennio circa di infiltrazione nei traffici illeciti che crescevano e prosperavano soprattutto grazie ai tanti appalti edili disponibili a Legnano e dintorni sui quali avevano appunto costruito un vero impero. Ma anche il reimpiego dei capitali sporchi, spartendosi quasi tutta la zona grazie all’imposizione del racket. E di recente anche i primi sintomi di una malattia più profonda, ovvero quella di decine di imprenditori locali e professionisti che sono stati costretti a scendere a patti con i clan.

 

E ne hanno strumentalizzato i vantaggi competitivi con capitali sporchi, ottenendo in cambio protezione criminale: «Si prestavano a dividere e reinvestire i profitti di droga ed estorsioni - hanno detto gli inquirenti - affidando alla violenza delle cosche del sud il recupero dei crediti, ordinando attentati contro i concorrenti, soprattutto imprenditori edili, agenti immobiliari e gestori di locali». Un’escalation di violenza e minacce che la crisi economica aveva amplificato.

 

Nelle maglie dell’inchiesta sono così finiti circa una quarantina di persone residenti nella nostra zona, soprattutto nomi noti nell’ambiente della criminalità organizzata. Tutti accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, rapina, traffico internazionale d’armi e di sostanze stupefacenti, danneggiamento e violazione in materia di aggiudicazione ed esecuzione di appalti pubblici. Nelle loro mani anche bische e videopoker, gestiti in alcuni casi come un vero e proprio “regime di monopolio”.

 

Da noi le cosche cominciano a trovare anche complici a pieno titolo (le cosiddette “teste di legno”) nel mondo dell’imprenditoria. Non ci sarebbero invece politici locali, anche se l’indagine non è ancora chiusa. Tra gli indagati anche quattro Carabinieri di Rho, uno dei quali per concorso esterno in associazione mafiosa. La maxi-operazione - scattata ieri notte e denominata “Il crimine” - ha colpito di fatto le più importanti e potenti famiglie della ‘ndrangheta delle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Crotone, ma anche le loro proiezioni extraregionali, comprese appunto quelle del Legnanese.