Amianto alla Centrale di Turbigo: nessuno è colpevole degli 8 morti

Escluso il reato di omicidio colposo per i sei ex manager Enel a giudizio: «Assolti per non aver commesso il fatto» di Marinella Rossi

Attenzione, pericolo amianto

Attenzione, pericolo amianto

Manager assolti. Formula piena. Nessun colpevole per la morte da amianto di otto operai della centrale termoelettrica Enel di Turbigo, sottoposti all’esposizione di polveri di asbesto, dagli anni Settanta al 1995. Il giudice monocratico Beatrice Secchi ha escluso il reato di omicidio colposo plurimo dovuto a negligenza e imperizia a carico di sei ex dirigenti Enel, per i quali il pm Maurizio Ascione aveva chiesto condanne da 8 anni e mezzo fino a 2 anni. Sono Alberto Negroni, prima direttore di compartimento e poi tra l’84 e il ‘92 dg di Enel; Paolo Beduschi, capo a Turbigo tra l’84 e il ‘90; Paolo Chizzolini, ex direttore di compartimento, Valeriano Mozzon, capo centrale dal ‘90 al ‘92; l’ex presidente di Enel Francesco Corbellini e l’ex direttore di compartimento Aldo Velcich. Corbellini e Velcich sono morti di vecchiaia poche settimane fa.

Milano, 1 marzo 2015 - Quando spazzavano, raccoglievano, accumulavano in sacchi polvere bianca che si depositava a tappeto sui pavimenti e volava come nuvole di grigliato in grigliato, non avevano nulla in mano se non scope e ramazze. Mani nude. Quando staccavano tubature, coibentavano, scoibentavano, collegavano manometri, misuratori, termocoppie, e quella neve impalpabile scendeva giù, non avevano nulla in faccia se non la faccia. O quelle mascherine tanto in voga fra i ciclisti: graziose e inutili. Mani nude, faccia nuda, pieni polmoni. E usavano scope e badili e stracci come per tirare via «comuni calcinacci di cantiere», e colpi di aria compressa a secco, a sollevare nubi di veleno, ricorda il pubblico ministero Maurizio Ascione nel suo atto d’accusa che dice: voi, padroni della fabbrica, non li avete protetti. Perché non erano calcinacci, era amianto.

Otto di loro sono morti. Orgogliosamente nel colosso elettrico del rinnovamento e del progresso per venti, trenta, fino a quaranta anni, esposti per decenni o anche solo per un lustro al veleno. Chiamati al redde rationem da unincubazione infida e infinita, quando la fatica era finita, e la pensione arrivata.

Dopo una vita di lavoro, la morte fra atrocità che è dovere descrivere. «“Ho sete“, diceva mio padre, implorava, ma non poteva bere perché non poteva respirare». Perché il cancro «si era incollato ai suoi polmoni come un corsetto di cuoio e stringeva fino a farlo soffocare». Aveva sete. «È l’ultima cosa che ha detto». Prima delle grida in aula, scivolano lacrime. Su facce di donne vestite con begli abiti scuri, un filo d’oro al collo, il rossetto, il trucco da tribunale. I figli accanto, gli amici. Prima degli slogan, un silenzio incredulo e sospeso segue la voce rotta, quasi al limite del singulto, del giudice monocratico della quinta penale, Beatrice Secchi, testa bassa, un caschetto di riccioli freschi di shampoo, il volto appuntito, un no seccco alla ripresa tv della lettura del dispositivo: lei in meno di venti secondi passa la sua ramazza sulla polvere di asbesto. «Assolti per non aver commesso il fatto». I dirigenti dell’Enel di Turbigo. Azione e reazione. Sguardi persi e allibiti, l’applauso indignato.

Vergogna, vergogna, «mio padre morto di raffreddore». «Li avete uccisi due volte». Le madri piangono, i figli le accarezzano. Il pm vola via, il volto paonazzo: ha combattutto l’ennesima battaglia contro chi doveva proteggere i suoi lavoratori dall’amianto. Sapendo che era veleno. L’ha persa.

È morto Mario Ranzani, uno di Turbigo, nel 2007. Ha respirato amianto dal 1958 al 1982. Stava alle caldaie, doveva rimuovere la polvere. Sua moglie Iulia Liskova, i suoi figli Daniele, Mirella e Diego sono impietriti, fra lacrime e sdegno. È morto nel 2012 Oscar Misin, che lavorava agli impianti termici e ha respirato amianto tra il 1970 e il 1995. «Amianto, è una parola che ha accompagnato la mia infanzia», ricorda Chiara, la figlia. E racconta quando «papà mi portò a fare gli auguri di Natale in fabbrica ai compagni nel 2005 e si sapeva che ancora c’era l’amianto». Sono morti Giancarlo Marcoli, nel 2011, che stava al «posizionamento dei pannelli amiantiferi» con scope e strofinacci a tirar via polvere. Rosalino Orlandelli, nel 2012, alle turbine. Giampiero Bertoni, nel 2009: era agli impianti coibentati da amianto; Giancarlo Stella, nel 2004, sala controllo e carpentieri. Giulio Sommariva, nel 2006, addetto allo smontaggio dei rivestimenti amiantiferi; è morto nel 2010 Giuseppe Panza. Le famiglie hanno ricevuto un risarcimento per via extragiudiziale dall’Enel ora assolta, e di cui né loro né l’Enel dettagliano. Ma non cercavano soldi. Le parti civili ritirate dopo l’accordo. Volevano si dicesse: i nostri padri e mariti sono stati mandati a morire in modo atroce. «Volevamo giustizia. In nome del popolo italiano. Ma non è nel nome di mio padre».marinella.rossi@ilgiorno.net