Mandello, la gara del quattro senza nel racconto del veterano Giuseppe Mojoli

L'ultimo superstite dell'equipaggio che nel 1948 a Londra riuscì a vincere la medaglia d'oro non nasconde la delusione: "Speravo riuscissero a eguagliare la nostra impresa, da quasi sett'anni nessuno azzurro è più salito sul podio"

Livio Micheli e il veterano Giacomo Mojoli (a destra) durante la gara

Livio Micheli e il veterano Giacomo Mojoli (a destra) durante la gara

Mandello del Lario (Lecco), 12 agosto 2016 - La delusione è tutta nei grandi occhi di Giuseppe Mojoli, che in prima fila non riesce a nascondere l’amarezza per il quarto posto del quattro senza pesi leggeri azzurro, per metà targato Lario con il mandellese Martino Goretti e il menaggino Pietro Willy Ruta. Ottantanove anni compiuti quattro giorni fa, la leggenda del canottaggio Moto Guzzi in cuor suo sperava che fosse proprio uno dei ragazzi cresciuti all’ombra dell’«aquila» a ritornare sul podio nel quattro senza pesi leggeri.  «Peccato, ci speravo perchè nessuno degli azzurri ci è riuscito dopo noi», ci racconta mentre ormai le sedie davanti al maxi schemo allestito al Lido si svotano e tutti ritornano sulle sdraio a prendere il sole. Una medaglia da portare a casa, magari non necessariamente del metallo più pregiato come quella che lui a ventisette anni si mise al collo a Londra ’48 con Elio Morille, Giovanni Invernizzi e Franco Faggi. Di quel leggendario erquipaggio è rimasto solo lui e una medaglia a ben guardare avrebbe avuto una dedica naturale nel ricordo proprio di Faggi, scomparso lo scorso giugno a novant’anni. «Peccato davvero perché la semifinale era andata molto bene». Gli azzurri si erano qualificati con il miglior tempo e Mojoli la butta lì: «Io gli ho sempre detto al Carlo (Mornati, altro campione cresciuto, ndr) che nelle batterie non conta il tempo, basta qualificarsi». Come a dire che gli azzurri possano essere arrivati «scarichi» al momento decisivo. Fatto sta che dovrà pazientare altri quattro anni per sperare di trovare un degno erede azurro nel quattro senza pesi leggeri. All’orizzonte non si vedono fenomeni e il guru del canottaggio lecchese non nasconde le difficoltà. «Bisogna lavorare duro e oggi non sono tanti i giovani che lo vogliono fare». Al rientro dall’impresa di Londra, ormai quasi settant’anni fa, i quattro ragazzi della Moto Guzzi ebbero come premio un motorino. «I tempi sono cambiati in effetti. Oggi sono tutti professionisti, noi ci allenavano nelle pause dal lavoro».

Altre epoche, altre storie, altri personaggi appunto. Come lo stesso Mojoli che in pantaloni kaki e polo rosso Guzzi ci confessa che in mattinata è andato «su a far fieno» indicando i prati verdi sul versante della Grigna. Di fianco a lui sorride il presidente della Moto Guzzi, Livio Micheli. «Certo dispiace, perchè dopo la semifinale speravo almeno in una medaglia e invece è arrivata quella di legno che fa più male ancora. Non dimentichiamoci però che un quarto posto in una finale olimpica resta comunque un grande risultato». E sì perché le leggende per diventare tali devono durare. E Giuseppe Mojoli a ottantanove anni suonati aspetta ancora un altro azzurro che voglia scrivere il suo nome nella storia. Lui l’ha fatto.