Figlio morì sulla super 36, mamma coraggio si arrende: deve risarcire l'Anas

La madre che ha perso il figlio 19enne in un incidente stradale ha effettuato un bonifico di oltre 12mila euro per risarcire delle spese legali e degli interessi i vertici di Anas contro cui aveva intentato causa perché nel tratto di strada in cui si è verificato il sinistro mancava il guardrail di DANIELE DE SALVO

Gli amici di Diego Girotti

Gli amici di Diego Girotti

Colico (Lecco), 29 aprile 2016 - «Mamma coraggio» si è dovuta arrendere. Ieri la madre che nel 2000 ha perso il figlio 19enne Diego in un incidente stradale lungo la Super 36 tra Colico e Lecco ha effettuato un bonifico per risarcire delle spese legali e degli interessi i vertici di Anas contro cui aveva intentato causa perché nel tratto di strada in cui si è verificato il sinistro mortale mancava il guardrail che avrebbe potuto salvare la vita del ragazzo, impedendo che precipitasse di sotto. I magistrati di tutti i gradi di giudizio, nonostante un consulente tecnico d’ufficio abbia riconosciuto che in quel punto una barriera avrebbe effettivamente potuto scongiurare il volo letale, le hanno tuttavia dato torto. Non solo: l’hanno pure appunto condannata a pagare un indennizzo.

Settimana scorsa le era stata recapitata anche una lettera, un atto di pignoramento di una baita di famiglia per intimarle di saldare il conto, l’unico documento con cui i funzionari della società statale si siano mai degnati di contattarla. La cifra è di quelle importanti, specie per chi come lei e suo marito hanno sempre dovuto sudarseli i soldi, lavorando di giorno e spesso persino di notte per arrotondare. Si tratta di 12mila euro, per la precisione di 12.286,03 euro, più altri 3,5 euro di commissione. «Non abbiamo potuto altrimenti», spiega Nadia Ciappesoni, il genitore del giovane muratore deceduto nel volo dal cavalcavia al volante della sua Fiat Punto.

Oltre al danno e alla beffa che sta sopportando, si sente pure abbandonata: «Nessuno dei politici mi ha mai aiutato né sostenuto, nemmeno una telefonata...». L’unica consolazione è che dove suo figlio è morto adesso è stata posizionata una ringhiera in metallo, che suona quasi come un’ammissione di colpa, colpa che tuttavia nelle aule di tribunale nessuno ha riconosciuto. La sua battaglia tuttavia non è ancora definitivamente conclusa. «Spero che ora qualcuno si faccia avanti per permettermi di presentare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo – annuncia -. Non mi interessa chi né di che partito o colore politico, ma per favore che qualcuno raccolga il mio appello».