Lecco, condannate le guardie carcerarie

Ritenute colpevoli per l'evasione di due detenuti da Pescarenico

Il carcere di Lecco nel rione Pescarenico

Il carcere di Lecco nel rione Pescarenico

Lecco, 26 maggio 2015 - Colpevoli entrambi. La sentenza che non ti aspetti è arrivata nella mattinata di ieri, in calce al dispositivo la firma del giudice del tribunale di Lecco Salvatore Catalano che ha condannato i due agenti penitenziari Domenico Stoto (due mesi) e Vincenzo De Vito (un mese e venti giorni) finiti a processo con l’accusa di aver favorito la fuga dal carcere di Pescarenico di Nicodemo Romeo e dell’egiziano Aly Amr El Fadly che la mattina del 18 luglio 2010 si resero protagonisti di una rocambolesca evasione.

Un colpo di scena perché era stata la stessa accusa, una manciata di settimane or sono, a chiedere l’assoluzione per i due agenti. Nell’udienza del 30 marzo scorso il Vpo Pietro Bassi aveva concluso la propria requisitoria ricordando che «le falle della struttura penitenziaria non possono essere imputate agli agenti». Per l’accusa insomma mancava l’elemento soggettivo, presupposto essenziale per la commissione del reato di favoreggiamento e neppure ci fu negligenza «perché i due dovevano vigilare su cinquanta-sessanta detenuti». Perché in quel periodo la sicurezza del carcere cittadino era deficitaria, come peraltro emerse dai testimoni chiamati a deporre - l’ex direttrice «in missione», Antonina D’Onofrio e l’ex vice-commissario di allora, Giovanna Propato, nonché Antonio Verbicaro, ispettore della questura di Lecco incaricato di indagare su quanto accadde quella mattina -, i quali ricordarono come a Pescarenico mancasse la sentinella nella garitta, le telecamere di sorveglianza no fossero spente e del tutto assente invece il sistema anti-intrusione e anti-scavalcamento.

Insomma «il sistema di sicurezza presentava enormi falle e pertanto le due guardie carcerarie non possono essere ritenute responsabili dell’evasione dei due detenuti», aveva spiegato Bassi in aula. Ieri il colpo di spugna con la sentenza di primo grado che, di fatto, cancella in un sol colpo l’impianto assolutorio dell’accusa e adombra invece il profilo della colpa intesa come negligenza. «Sono dispiaciuto per il mio assistito - spiega l’avvocato Marcello Perillo, difensore di Stoto - che con il collega paga le carenze di sicurezza della struttura». Dello stesso tenore le dichiarazioni del collega, l’avvocato Ruggero Panzeri, che in attesa delle motivazioni annuncia sin da ora «il ricorso in appello».