Era tutto vero, altro che "tarocchi". Restituiti i capi di moda sequestrati

Missaglia, a luglio il blitz della Finanza nel laboratorio cinese di Andrea Morleo

Il laboratorio cinese nella Brianza lecchese (Cardini)

Il laboratorio cinese nella Brianza lecchese (Cardini)

Lecco, 17 settembre 2014 - Secondo la Finanza quei capi di abbigliamento erano falsi e pronti per essere immessi sugli scaffali dei negozi con tanto di marchi contraffatti di due note maison della moda italiana, Fendi e Cavalli. Ieri il tribunale del Riesame (giudici Manzi, De Vincenzi, Arrighi) di Lecco ha invece disposto la restituzione di quei duemila capi d’abbigliamento - perlopiù T-shirt, abiti e jeans - che la tenenza di Cernusco aveva sequestrato, l’11 luglio scorso, in un laboratorio di via XXV Aprile a Maresso, frazione di Missaglia. 

Il fatto che quell’atelier fosse gestito da un’imprenditrice di origini cinesi, 43 anni, aveva fatto scattare l’equazione più ovvia in tempi in cui la falsificazione delle griffe italiane è vizietto assai praticato soprattutto in Estremo Oriente. Un’equazione a cui subito si era opposto l’avvocato Paolo Rivetti, incaricato di far ricorso per tutelare gli interessi dell’azienda milanese che, ricevuto l’incarico direttamente da Cavalli, a sua volta aveva «girato» il lavoro a una seconda azienda che infine aveva incaricato l’atelier di Missaglia della sola «etichettatura». 

Una lunga e complessa catena di appalti e sub-appalti, del tutto regolare però come sin dall’inizio aveva sostenuto l’avvocato esibendo tanto di bolle e ricevute presentate davanti al tribunale a cui si era aggiunta pure la dichiarazione di un perito (nominato dello stesso Cavalli), il quale si era espresso sull’assoluta veridicità di quei capi recanti il logo della maison di moda. Non era bastato però all’accusa, che a fine luglio si era opposta al dissequestro per poter compiere ulteriori accertamenti su chi avesse commissionato quei lavori all’imprenditrice cinese. Ieri l’ultimo atto della vicenda con il dispositivo emesso dal Riesame, decisione giunta a più di due mesi dal blitz della Finanza.

Soddisfatto l’avvocato Rivetti che si dice convinto della buona fede delle forze dell’ordine. «Forse ci voleva un po’ più di elasticità - spiega -: tutti possono sbagliare ma bastava qualche verifica più attenta per capire che era tutto regolare ed evitare certe lungaggini che sono poi un danno economico per il mio cliente».  L’avvocato lecchese assicura che non farà alcuna richiesta di risarcimento «ma certo per l’atelier di Missaglia quell’operazione è stato un bel danno di immagine». 

andrea.morleo@ilgiorno.net