Monticello Brianza, 28 dicembre 2012 - Le definisce “riletture in salsa brianzola”, e l’effetto che suscitano al primo ascolto è spiazzante. Praa de Magioster per Semper”, e poi “Comè on Sass Borlant”, sono traduzioni in dialetto del “Brianzashire”, delle più celebri canzoni di Beatles e Rolling Stones. Libri con cd realizzati da Renato Ornaghi, ingegnere cinquantunenne, pubblicati dall'Opificio Monzese delle Pietre Dure, piccolo editore ai suoi esordi.

Un ponte tra due lingue solo apparentemente lontane, come spiega lo stesso Ornaghi: l’inglese, che equivale al latino universale di oggi, e l’idioma insubre-lombardo: la “lengua mader”. Il risultato è un’operazione originalissima ma allo stesso tempo ragionata e divertente, che non ha precedenti e che stupisce, frase dopo frase, per quel misto di assonanze musicali e linguistiche che unisce estremi solo apparentemente distanti.

Da dove nasce l’idea di tradurre in dialetto brianzolo i colossi della musica leggera, e perché proprio loro?
L’idea nasce da una constatazione molto semplice: che per troppo tempo la lengua mader (per me la mia madrelingua non è assolutamente un dialetto, ma lingua a pieno titolo), ovvero l’idioma comunemente parlato con varianti fonetiche minime nei territori che furono il Ducato di Milano, è stata considerata come uno strumento comunicativo “vecchio”, buono magari per farci delle commedie di cascina o di microcosmo locale, ma del tutto inutile per rappresentare la modernità. Traducendo le canzoni dei Beatles e dei Rolling Stones in lengua ho voluto invece far capire che la lengua mader è in grado di rivaleggiare non solo con l’italiano, ma anche con l’inglese, il latino universale di oggi, in altri termini dimostrare che la nostra è una lingua che può reggere pienamente l’urto della modernità. Questo, a patto che la si sdogani e liberi da un idea preconcetta di “auto-castrazione” semantica: in base alla quale alcune cose vanno dette in italiano, certe altre in inglese e solo poche, pochissime in lombardo.

Ha avuto difficoltà nel rendere il senso delle frasi?
Tutt’altro! Dal punto di vista morfologico, le parole della nostra lengua sono quasi tutte monosillabi o bisillabe tronche, cioè con l’accento sull’ultima sillaba. Questo le rende estremamente simili alle parole inglesi, e pertanto adattissime per essere usate sulla musica rock anglosassone, per sua natura veloce e necessitante di poche articolazioni delle singole parole. Per fare un esempio, per dire il verbo “an-da-re” – l’italiano chiede tre sillabe, mentre la lengua ne chiede solo una: “nà”. Esattamente come l’inglese: “go”. Paradossalmente, il lombardo è assai più simile all’inglese dell’italiano, con tutti i benefici musicali del caso.

Come sono stati accolti questi lavori dal pubblico?
Direi molto bene. La cosa che mi fa molto piacere è stato sentirmi dire che i bambini che ascoltano e canticchiano le frasi più orecchiabili delle canzoni, tipo “tì che te tacchet i tacch”, oppure “Montisell”. Sentire ciò mi fa pensare di aver centrato l’obiettivo, che non è quello solo di far sorridere, ma anche quello di indurre anche i più giovani a ricominciare a parlare la nostra splendida lengua.

Il dialetto in questi ultimi anni è stato un po’ strumentalizzato politicamente. Crede di correre questo rischio con le sue traduzioni?
Il rischio più grande che può correre una lingua è quello di diventare la bandiera di qualcuno. La lingua appartiene a un popolo, è di tutti. La cosa che mi dà più fastidio a volte è sentirmi dire da alcuni: canti in lengua, sarai mica uno di “quelli”? Io a questi che mi fanno domande così assurde ribalto i termini della questione, chiedendo: e perché voi invece vi siete fatti scippare la lengua – che è di tutti – proprio da “quelli”?

Sente di avere una vena da cantante o da uomo di spettacolo?
Direi proprio di no! Per fare quel difficilissimo mestiere occorre ben altro talento. Io in realtà avevo concepito queste canzoni tradotte in lengua per altri esecutori, che però non si sono resi al momento disponibili a farlo. E q me spiaceva, dopo tutto quel lavoro di traduzione, lasciarlo nel cassetto in attesa di qualcuno. Così mi sono detto: e se le cantassi io? Insomma, ho fatto di necessità virtù. Ma ripeto, da questo a essere uomo di spettacolo, ce ne corre!

Il commento più bello ricevuto?
Qualcuno, direi davvero sparandola un po’ grossa, mi ha associato a Nanni Svampa, che a suo tempo aveva tradotto magnificamente dal francese le canzoni di Georges Brassens. Pur sapendo che il paragone è improponibile, sentirsi dire questo ti accende indubbiamente una piccola luce, dentro.

Una canzone dei cd che secondo lei non è stata valorizzata dalla storia musicale, e alla quale ha voluto particolarmente bene?
Senz’altro “Norwegian Wood” dei Beatles, diventata “Vegia e nevod” (Vecchia e nipote). Traducendola mi sono trovato catapultato nel rapporto tra i giovani e vecchi, che oggi più che mai diventato particolarmente duro e doloroso. E invece, dei Rolling Stones, credo che “Lady Jane” (Gh’è di gent) sia forse per me la più riuscita, nonché la più socialmente impegnata (parola grossa!) di tutte. Perche essa, da canzone d’amore, è diventata un ritratto di ciò che è diventata oggi la Brianza, con l’infiltrarsi della più pericolosa tipologia di malavita organizzata.

Secondo lei come potrebbero commentare Mike Jagger e Paul McCartney questa traduzione?
Mi piacerebbe pensare che ascoltando queste canzoni, sorridessero. Ma in realtà credo siano abituati a questi tipi di “trattamenti” linguistici, sulle loro canzoni. Soprattutto i Beatles, che hanno nel mondo più di 1500 band che hanno tradotto nella lingua locale  le loro immortali canzoni. La cosa che invece mi rende un po’ orgoglioso è pensare però che, mentre anche in Italia sono tante le cover band dei Beatles in lingua locale, credo di essere stato il primo a tradurre sistematicamente i Rolling Stones in una lingua regionale.

Altri big che vorrebbe trasformare in ballate brianzole?
Sarebbero tanti, tantissimi. In realtà ora sto seriamente pensando di tradurre le canzoni di Adele: non per me, ma per una voce femminile. Mi piacerebbe dimostrare che la lengua mader può essere non solo musicalmente rock, ma anche romantica, profondamente triste. Esprimendo tutte le possibili emozioni umane e in tal modo affermare la propria “completezza ed espressiva”. Commuovere l’ascoltatore con l’ascolto di una canzone d’amore finito male in lengua credo sarebbe uno splendido traguardo.

Il settore editoriale, visto da un piccolo editore, come sta andando?
Sono certo che il futuro del libro vedrà un grande spazio per la microeditoria. Quest’ultima richiede costi minimi, ha grande flessibilità, risponde assai prima di un grande editore alle sollecitazioni o alle nuove idee del mercato. Certo, i volumi sono più bassi, ma non penso che questo sia un limite, anzi. Sono anzi persuaso che, tra una decina d’anni, l’unico libro cartaceo stampato sarà proprio quello dei microeditori, con la carta da “mezzo” a diventare “messaggio”, per dirla un po’ pomposamente alla McLuhan. Mentre i libri di grande tiratura finiranno necessariamente su altri media, dematerializzandosi. Un po’ la fine dei film di grande pubblico, che per arrivare prima al cliente non passeranno più per le sale ma arriveranno direttamente nelle case degli utenti finali, tramite la rete.