Interessi, minacce e depistaggi: padre Tentorio resta senza giustizia

La Valletta Brianza, l’omicidio di Tatay Pops (come lo chiamavano i suoi fedeli) resta ancora irrisolto di DANIELE DE SALVO

Padre Fausto Tentorio  a North Cotabato, nelle Filippine

Padre Fausto Tentorio a North Cotabato, nelle Filippine

La Valletta Brianza, 18 aprile 2016 - Quattro anni e mezzo esatti ma ancora nessuna verità ufficiale sull’assassinio di padre Fausto Tentorio, il missionario del Pime di 59 anni anni originario di Santa Maria Hoè de La Valletta Brianza che la mattina del 17 ottobre 2011 è stato crivellato da dieci colpi di pistola fuori dalla sua parrocchia di Arakan, North Cotabato, Mindanao, nelle Filippine. Non si conosce né chi chi abbia premuto materialmente il grilletto esplodendo proiettili avvelenati, né soprattutto chi siano i mandanti. I presunti killer sarebbero stati catturati, ma per altri delitti, mentre si sospetta che a commissionare l’omicidio siano stati politici locali corrotti o appartenenti a gruppi paramilitari per disfarsi di un religioso scomodo che aveva sempre difeso i tribali del luogo dalle mire dei latifondisti che rubano loro il suolo e degli investitori che sfruttano le ricchezze minerarie ed energetiche della zona.

Tra depistaggi, minacce, continui cambi e sostituzioni dei procuratori incaricati del caso diversi testimoni hanno ritrattato, mentre quelli che non si lasciano spaventare sono costretti a stare sotto scorta e cambiare spesso nascondiglio, perché ogni volta chi non dovrebbe sapere dove si trovano riesce invece a stanarli. «La situazione lì è molto complicata e instabile – spiega Felice Tentorio, 66 anni, fratello di Tatay Pops, come lo chiamavano i suoi fedeli - ma soprattutto manca la volontà di risolvere il caso, uno dei tanti di uccisioni extragiudiziarie in quella terra». Né lui né chi ha conosciuto il sacerdote intende tuttavia arrendersi, è stata anzi promossa una petizione internazionale per esercitare pressioni sugli inquirenti filippini affinché condannino i colpevoli. «Lo devono a lui e alla sua memoria e lo devono a noi cui l’hanno strappato - prosegue il fratello -. Da quando lo hanno ammazzato mi sento invecchiato, appesantito dalla tristezza, non sono più lo stesso e la mia esistenza è cambiata radicalmente, non fuori ma dentro di me».

Intanto molti chiedono che siano avviate le pratiche almeno per cominciare a valutare se sussistano le condizioni per riconoscere padre Fausto come un martire della chiesa, cioè un santo: nell’Arakan Valley è già considerato e in qualche modo venerato come tale. «Non è una questione che mi interessa – taglia corto però il familiare -. Ciò che mi preme è semmai portare avanti i tanti progetti di giustizia, uguaglianza, assistenza e pace che aveva avviato». E per farlo è stata costituita l’associazione Padre Fausto onlus, attraverso la quale solo negli ultimo dodici mesi sono stati raccolti quasi 100mila euro: «È il modo più bello e concreto per ricordarlo, testimoniare che non è morto invano e dimostrare che lo spirito di mio fratello continua a vivere».