2010-01-31
di ELVIRA CARELLA
CASATENOVO
UN TRADUTTORE dellanima e non solo. È Umberto Pettinicchio, pittore e scultore, ricco di spiritualità e carisma, che si riscontrano nelle sue opere, ma anche nel suo vivere quotidiano. «Abito in una cascina del Quattrocento - esordisce lartista - ex casa canonica, sormontata da un campanile. Non a caso mi sono soffermato qui, in quanto vi aleggiano spiritualità mista alla filosofia della vita contadina, che ben si sposano con la mia arte. E, poi, in Brianza, negli anni 80, sono approdati tanti artisti.
Qual è la caratteristica della sua arte?
«In essa cè un momento poetico e filosofico. Ho labitudine di guardare fuori per vedere dentro. E, poi, trasformo a mio modo lemozione che mi viene trasmessa. La mia problematica è far scaturire la situazione e, mentre la indico, posso dar vita ad un ritratto. Nel 72 feci una mostra a Roma ed un critico, Vito Apuleio, mi disse che Francis Bacon, un famoso pittore inglese, metteva figure molto problematiche in una specie di cassa. A me interessa il punto di fuga, dove luomo può uscire; cioè aspiro a portare luomo fuori dalla gabbia baconiana».
Mi può spiegare il concetto?
«Si tratta di un intervento sulla realtà e questo è il punto di rottura anche tra pittura e scultura. Non faccio scultura propriamente detta. Infatti, essa è limitante, perché prevede una gabbia, dei punti fissi, dove tutta linterazione produce quelleffetto. A me interessa la fuga, il gioco della diversità nelluomo, negli animali e questa è una pagina molto spirituale. Se uno la sa leggere, comprende che da una parte cè lindicazione, dallaltra la fuga da essa. In India ho percepito la questione della reincarnazione che cè in noi. Ci evolviamo, non siamo statici. E credo in questa mutazione, proprio come un processo di democrazia, dove ognuno è importante».
Tornando alla sua attività
«Nel 77 realizzai opere, per lo più sculture, le Spogliazioni, così denominate per il processo di spogliarsi, di attingere a quel nucleo primario, che è la divinità dellessere, la parte più pura. Siamo tutti bombardati da una serie di sovrapposizioni che è la cultura, siamo vestiti di questa condizione e lobiettivo è arrivare al nucleo, in modo che tutta la sovrapposizione venga spurgata».
E le altre sculture?
«Non sono mai univoche. Ad esempio, nella Triburti della divinità le tre figure sono una persona sola: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Anche in noi abitano il padre, la madre e il figlio, che non sono sconnessi, ma in equilibrio. Se siamo figli, vogliamo la madre e il padre, quindi soffriamo in qualche modo e la crescita è come la congiunzione di questi tre elementi».
Predilige lazzurro
«È un blù intenso, nato dopo un certo periodo ed ha a sua volta una chiave di lettura. Quando lo spalmo sulla scultura, il racconto viene bruciato, in quanto il colore è così vivo che ciò che è scritto nella scultura passa in secondo piano. Quindi, cè un processo di liberazione e anche se lopera e il blu sembrano molto diversi, hanno tra loro un comune denominatore, il movente della poetica. Spesso ci lasciamo condizionare dallapparato scenico, ma bisogna vedere come e perché è stato prodotto e dove vuole condurci».
Mentre adesso
«Mi ero proposto non di scrivere, ma di cancellare. Malgrado si cancelli, succede che la psiche si inscriva. Durante le mie passeggiate mattutine a Montevecchia, mi è venuta lispirazione di realizzare quadri bianchi, con un tessuto di scritte in rilievo con interventi in oro. Esse hanno un senso poetico ed è come se uscissero dal luogo del racconto».
di ELVIRA CARELLA
CASATENOVO
UN TRADUTTORE dellanima e non solo. È Umberto Pettinicchio, pittore e scultore, ricco di spiritualità e carisma, che si riscontrano nelle sue opere, ma anche nel suo vivere quotidiano. «Abito in una cascina del Quattrocento - esordisce lartista - ex casa canonica, sormontata da un campanile. Non a caso mi sono soffermato qui, in quanto vi aleggiano spiritualità mista alla filosofia della vita contadina, che ben si sposano con la mia arte. E, poi, in Brianza, negli anni 80, sono approdati tanti artisti.
Qual è la caratteristica della sua arte?
«In essa cè un momento poetico e filosofico. Ho labitudine di guardare fuori per vedere dentro. E, poi, trasformo a mio modo lemozione che mi viene trasmessa. La mia problematica è far scaturire la situazione e, mentre la indico, posso dar vita ad un ritratto. Nel 72 feci una mostra a Roma ed un critico, Vito Apuleio, mi disse che Francis Bacon, un famoso pittore inglese, metteva figure molto problematiche in una specie di cassa. A me interessa il punto di fuga, dove luomo può uscire; cioè aspiro a portare luomo fuori dalla gabbia baconiana».
Mi può spiegare il concetto?
«Si tratta di un intervento sulla realtà e questo è il punto di rottura anche tra pittura e scultura. Non faccio scultura propriamente detta. Infatti, essa è limitante, perché prevede una gabbia, dei punti fissi, dove tutta linterazione produce quelleffetto. A me interessa la fuga, il gioco della diversità nelluomo, negli animali e questa è una pagina molto spirituale. Se uno la sa leggere, comprende che da una parte cè lindicazione, dallaltra la fuga da essa. In India ho percepito la questione della reincarnazione che cè in noi. Ci evolviamo, non siamo statici. E credo in questa mutazione, proprio come un processo di democrazia, dove ognuno è importante».
Tornando alla sua attività
«Nel 77 realizzai opere, per lo più sculture, le Spogliazioni, così denominate per il processo di spogliarsi, di attingere a quel nucleo primario, che è la divinità dellessere, la parte più pura. Siamo tutti bombardati da una serie di sovrapposizioni che è la cultura, siamo vestiti di questa condizione e lobiettivo è arrivare al nucleo, in modo che tutta la sovrapposizione venga spurgata».
E le altre sculture?
«Non sono mai univoche. Ad esempio, nella Triburti della divinità le tre figure sono una persona sola: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Anche in noi abitano il padre, la madre e il figlio, che non sono sconnessi, ma in equilibrio. Se siamo figli, vogliamo la madre e il padre, quindi soffriamo in qualche modo e la crescita è come la congiunzione di questi tre elementi».
Predilige lazzurro
«È un blù intenso, nato dopo un certo periodo ed ha a sua volta una chiave di lettura. Quando lo spalmo sulla scultura, il racconto viene bruciato, in quanto il colore è così vivo che ciò che è scritto nella scultura passa in secondo piano. Quindi, cè un processo di liberazione e anche se lopera e il blu sembrano molto diversi, hanno tra loro un comune denominatore, il movente della poetica. Spesso ci lasciamo condizionare dallapparato scenico, ma bisogna vedere come e perché è stato prodotto e dove vuole condurci».
Mentre adesso
«Mi ero proposto non di scrivere, ma di cancellare. Malgrado si cancelli, succede che la psiche si inscriva. Durante le mie passeggiate mattutine a Montevecchia, mi è venuta lispirazione di realizzare quadri bianchi, con un tessuto di scritte in rilievo con interventi in oro. Esse hanno un senso poetico ed è come se uscissero dal luogo del racconto».
© Riproduzione riservata