Nibionno, 24 maggio 2014 - Uno, due, tre, dieci, cinquanta... cento colpi. Pedate, pugni, sberle, con una spranga. Alle gambe, alla schiena, all’addome, in faccia. In testa, quello fatale, costato la vita al 20enne di Nibionno Joele Leotta, ammazzato di botte la sera di domenica 20 ottobre 2013 a Maidstone, dove era arrivato da nemmeno una settimana per lavorare come lavapiatti in prova per tre mesi in un ristorante.

A contare uno per uno e descrivere gli effetti devastanti di quella serie impressionante di lesioni anche attraverso fotografie è stato nei giorni scorsi il dottor Peter Jerrayt, anatomopatologo della contea di Kent, consulente del procuratore Philippa McAtasney che regge l’accusa nel processo a carico dei quattro lituani alla sbarra per il feroce massacro.

In aula, al giudice e ai dodici componenti della giuria popolare del tribunale della Corte della corona, il coroner ha spiegato che il giovane italiano è morto per «le gravi ferite al capo e una conseguente emorragia cerebrale probabilmente provocata dai ripetuti colpi compatibili con calci».

Il medico ha riferito di «una vasta ecchimosi sia esterna che interna. In pratica uno o forse più degli aggressori gli avrebbero sferrato violente scarpate al capo. «Il cervello è come una gelatina, si muove nella scatola cranica, può assorbire colpi, per questo ad esempio non è pericoloso andare sulle giostre, giocare, correre, partecipare a una partita di rugby. Per riportare danni deve essere inferta notevole forza. In sostanza il suo cervello ha rimbalzato diverse volte avanti e indietro contro le ossa del cranico a causa dei colpi alla testa». 

Nonostante i numerosi lividi, le ecchimosi, i tagli da «impatti multipli contundenti, il brianzolo non ha riportato nessun altra frattura. Dagli accertamenti e dai test tossicologici è emerso che «Mr Leotta aveva assunto stupefacenti prima del decesso», in particolare cannabis.

Probabilmente il giorno prima avrebbe fumato uno spinello, come del resto ammesso senza reticenze pure dall’amico di sempre e coetaneo Alex Galbiati di Rogeno, scampato alla mattanza, ma ciò non avrebbe influito in alcun modo su quanto purtroppo accaduto. Come invece ha tentato di insinuare uno degli avvocati difensori degli imputati.

«Sono stati vittima di un attacco di insensata violenza - ha ribadito il magistrato -. Li hanno assaliti con calci, pugni e tutto ciò che avevano a portata di mano, compresi una spranga in metallo, un bastone e il manico di una scopa». L’ipotesi è che i due ragazzi siano stati picchiati in una vera e propria spedizione punitiva. Chi ha organizzato l’agguato voleva ucciderli, forse per uno scambio di persona, oppure perché italiani, semplicemente magari senza alcun motivo.