Lecco, 13 maggio 2014 - Lecco e provinicia come la Locride. I tentacoli della mafia si sarebbero infiltrati ovunque, il cancro della malavita avrebbe infettato ogni settore della vita sociale. Gli investigatori delle Fiamme gialle della Prima sezione del Gico di Milano - il Gruppo sulla criminalità organizzata - nella loro relazione di oltre 1.200 pagine inviata ai procuratori della Dda, sfociata poi nella retata «Metastasi», tracciano un quadro inquietante, coinvolgono e citano politici presenti e passati, imprenditori, commercianti professionisti di diversi ambiti, una sessantina di persone in tutto - alcune già arrestate, altre indagate, molte allo stato attuale non coinvolte direttamente dagli accertamenti -, grazie alle quali gli affiliati alla locale controllerrebbero l’intera città.

Sopra a tutti ci sarebbe ancora lui, il boss Franco Coco Trovato, 67 anni appena compiuti il 2 maggio. Nonostante si trovi in carcere a Terni, quello duro, del 41 bis, condannato all’ergastolo, tramite i familiari che lo vanno a trovare e pizzini, riuscirebbe a impartire ordini e direttive agli associati. «Risulta essere il capo riconosciuto e naturale nonostante il suo attuale stato di detenzione - si legge nelle corpose annotazioni riservate che costituiscono la Cnr, le comunicazione di notizia di reato -. Il suo indiscusso ruolo apicale nell’ambito della consorteria non è venuto mai meno, neanche a seguito del suo arresto». Chi lo rappresenta e sostituisce fuori dal penitenziario sarebbe il fratello 65enne Mario, il «reggente», il braccio operativo del clan. Secondo i finanzieri eserciterebbe «un efficace controllo del territorio su Lecco ed il suo hinterland».

Sebbene sia solo un «sostituto» è considerato uno dei capibastone più temuti della Lombardia, anche «i Barbaro e i Papalia si rivolgono a lui per ottenere vantaggi nonchè la sua approvazione». Negli atti si parla di «disponibilità di ingenti somme di denaro contante che derivano dalle attività estorsiove», utilizzo di «attività commerciali intestate anche a prestanome», «influenze nelle gare d’appalto», «interessi nella gestione dei videogiochi illegali, pizzo, truffe, armi, spaccio e spacciatori utilizzati come manovalanza per incutere paura e per le intimidazioni nelle stile tipico ‘ndranghetistico, pestaggi, persino della capacità determinare il risultato delle elezioni».

Sotto di lui operano un esercito di collaboratori fidati di cui ha il pieno controllo e rispetto. Lui ricambia con «l’intestazione e la possibilità da parte loro di aprire attività commerciali, sempre sotto la sua protezione», ma anche assicurando il sostentamento dei familiari che eventualmente sarebbero state catturate. E poi ci sarebbero i funzionari pubblici, persino in prefettura, i sindaci, gli assessori e consiglieri municipali, di entrambi gli schieramenti, perché, l’obiettivo è sempre lo stesso, «mantenere il controllo del territorio, ottenendo concessioni, autorizzazioni, appalti o altri servizi, limitare il libero esercizio del voto, procurare voti durante le consultazioni elettorali». Perché, nonostante i ripetuti colpi inferti con le inchieste, le indagini e gli arresti dagli anni ‘90 in poi, i Trovato, che spaziano da Lecco, a Como, a Varese, Monza e Milano, «restano tuttora uno dei clan più potenti in Lombardia».