di Daniele Salvo

Merate (Lecco), 2 maggio 2014 - Licenziato in tronco. Per aver molestato una paziente e per averne dirottato altre nel suo studio invece che curarle gratuitamente presso l’ospedale Mandic di Merate. Il dottor Paolo Pignoli, 61 anni di Calco, uno dei migliori angiologi sulla piazza, dopo essere stato condannato il 12 dicembre scorso in primo grado a venti mesi di carcere perché riconosciuto colpevole di violenza sessuale su una assistita e ad altri sette per abuso d’ufficio, adesso ha perso anche il lavoro. Il provvedimento gli è stato notificato nei giorni scorsi. Per il noto chirurgo vascolare del San Leopoldo Mandic, già sospeso dal servizio, si è trattato di un duro colpo, che non si aspettava.

Confidava infatti che i vertici dell’Azienda ospedaliera lecchese, di cui era dipendente, attendessero almeno l’esito del processo di appello, dato che la sentenza non è ancora passata in giudicato, tanto più che gli mancherebbero poche decine di settimane per maturare i requisiti per ottenere la pensione, di cui avrebbe deciso di godere autonomamente. «Sono disperato - commenta -. Non ho più nulla, alla mia età è difficile trovare un altro impiego, specie nella mia situazione. Non so se avrò la forza di andare avanti, sarebbe stato meglio morire, resisto solo per mia moglie e mio figlio, anche se non so come potrò continuare a mantenerli...». Contro la decisione dell’ormai suo ex principale, il direttore generale Mauro Lovisari, ha comunque presentato ricorso tramite il legale di fiducia Fortunato Riva, specializzato diritto del lavoro.

Lo scandalo per il camice bianco, con oltre quarant’anni di carriera internazionale, è cominciato il 23 ottobre 2012, quando è stato arrestato dai carabinieri con l’ accusa di aver approfittato di tre pazienti che avrebbe palpeggiato durante alcune visite, sia presso gli ambulatori del presidio pubblico, sia nel suo gabinetto privato. Nel corso degli accertamenti è saltata poi fuori pure la questione dell’abuso d’ufficio. Lo specialista dal canto suo si è sempre dichiarato innocente, sostenendo, con tanto di perizie di luminari del settore, che quelle che potevano sembrare attenzioni particolari dipendevano semplicemente dalla tecnica diagnostica utilizzata, quella dell’ecodoppler, e che se aveva ricevuto alcune donne operate al nosocomio brianzolo nel suo studio sostanzialmente era solo per aiutarle. Al termine del dibattimento, cominciato lo scorso giugno e durante il quale il Pm ha perorato una condanna a sette anni e sette mesi, i componenti del collegio giudicante lo hanno tuttavia riconosciuto colpevole per violenza, sebbene in un solo caso rispetto ai tre prospettati, oltre che di abuso d’ufficio. E ora è arrivato anche il licenziamento, la massima sanzione disciplinare prevista.

La vicenda è destinata a far discutere anche oltre i confini della Brianza e del Lecchese e dopo il provvedimento dell’Azienda Ospedaliera ci potrebbe essere uno strascico.