Nibionno (Lecco), 01 maggio 2014 - Rischiano l’ergastolo, lo sanno bene. Avrebbero potuto patteggiare, ammettere tutto e cavarsela con venti, massimo trent’anni di carcere. Invece continuano a professarsi tutti innocenti, ad accusarsi a vicenda, per confondere i giudici e i giurati, in modo che non possano ritenerli colpevoli oltre ogni “ragionevole dubbio”.

Di più: puntano a screditare le vittime, cercano di dipingerle come due ragazzi che abusavano di erba e spacciavano marijuana. Tomas GeležInis di 31 anni, Aleksandras Zuravliovas di 26, Saulius Tamoliunas di 24 e Linas Zidonis di 21, i quattro lituani alla sbarra per aver ammazzato di botte il ventenne di Nibionno Joele Leotta e picchiato il coetaneo di Rogeno, Alex Galbiati, quella maledetta domenica 20 ottobre 2013 a Maidstone, vogliono confondere i magistrati e i componenti della giuria popolare per evitare di essere condannati per omicidio e scampare alla prigione a vita.

Già durante gli interrogatori, subito dopo il loro arresto, hanno sostenuto di non aver aggredito i due giovani italiani, ma di aver litigato semplicemente tra di loro. L’altro giorno in aula, durante il processo che li vede sul banco degli imputati, hanno invece insinuato che i brianzoli fumavano spesso spinelli e che anche quella sera si sarebbero “fatti una canna”.

Alex, scampato alla mattanza, dal canto suo non ha mai negato che prima di addormentarsi lui e l’amico di sempre a volte fumavano “maria”, ma ha spiegato di non ricordarsi se l’avessero fatto anche prima del tragico assalto. Per il procuratore che regge l’accusa e gli investigatori che si sono occupati del caso, si tratterebbe tuttavia di dettagli ininfluenti, anzi inutili, che non modificherebbero quello che hanno definito un “insensato brutale attacco di violenza”. Secondo gli inquirenti i lituani avrebbero aggredito i due ventenni, gli ultimi arrivati nell’albergo di Lower Stone Street, perché convinti che li avessero denunciati per i continui schiamazzi e problemi che creavano.

In particolare a ordinare la spedizione sarebbe stato il 31enne, che alloggiava in una camera al piano superiore rispetto a quella di Alex e Joele. Li avrebbero sorpresi mentre guardavano la tele, dopo aver sfondato la porta della stanza. Alex e Joele si sarebbero difesi come potevano, anche a morsi. Alex si sarebbe quindi rifugiato in un bagno, fingendo poi di perdere conoscenza. Joele invece non avrebbe trovato scampo, massacrato con calci, pugni e colpi di spranga, anche quando ormai versava esanime, lui sì per davvero, sul pianerottolo delle scale.

Contro i quattro baltici ci sarebbero testimonianze dettagliate, tra cui quella di Alex e di un cuoco spagnolo, immagini registrate da alcune telecamere installate in zona che li avrebbero ripresi durante la fuga, ma anche indizi schiaccianti, come il dna estratto dalle macchie di sangue trovate sui loro vestiti, lo stesso di quello dei ragazzi.