Abbadia Lariana (Lecco), 1 maggio 2014 - «Dov’è il mio Nicolò? Ma veramente è morto?». Aicha Christine Eulodie Coulibaly, la 25enne di Abbadia Lariana originaria della Costa d’Avorio che la mattina del 25 novembre ha ammazzato suo figlio di appena tre anni con una forbiciata, non si rende ancora conto che il suo piccolo non c’è più, soprattutto non riesce o non vuole realizzare che a ucciderlo è stata proprio lei. Spesso chiede di lui, di dove sia, del perché non possa vederlo. Ma domanda anche di Sara, la secondogenita, che ormai ha compiuto più di un anno. Vorrebbe abbracciarla, incontrarla, coccolarla. Ma non può.

Non subito almeno e forse non potrà mai più. Perché gli psichiatri che la stanno assistendo nelle loro perizie giurate l’hanno dichiarata non solo come incapace di intendere e volere quando ha trafitto il petto del primogenito, ma anche socialmente pericolosa. Per se stessa e pure gli altri. Spetterà tuttavia ai giudici del tribunale dei minori di Milano stabilire se esaudire il suo desiderio, magari con audizioni e colloqui protetti, ed eventualmente quando.

L’avvocato di fiducia Sonia Bova sta predisponendo per i magistrati che saranno chiamati a decidere un voluminoso fascicolo con tutti gli elementi utili affinché siano messi nelle condizioni di decidere nella maniera migliore. Tra due settimane, martedì 6 maggio, anche il gip del tribunale di Lecco Massimo Mercaldo dovrà pronunciarsi, dalla sua scelta dipenderà il futuro della donna: dovrà valutare quale sia il luogo adatto per lei, se l’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, dove si trova ora, oppure il carcere, al Bassone di Como, dove è già stata detenuta per un breve periodo prima di essere nuovamente trasferita nella struttura protetta. Lo aiuteranno nel verdetto i professionisti Mara Bertini, la sua consulente, la collega Alessandra Bramante, consulente della difesa, Anna Ballabio, nominata dal marito Stefano Imberti e Stefania Forconi, psichiatra forense dell’Opg mantovano.

«Dove è adesso sta meglio - riferisce l’avvocato, che ieri si è recata a farle visita -. Svolge attività fisica e artistica, si relaziona con le altre pazienti che hanno commesso il suo stesso reato, è curata da operatori specializzati. Io credo che abbia capito e sappia cosa lei ha commesso e quello che è avvenuto nell’abitazione di via Giordanoni, ma fatica probabilmente a comprenderne le conseguenze e ad associare che sia stata veramente lei. Inoltre si sente molto sola». Presto la madre e la sorella della giovane ivoriana potrebbero raggiungere l’Italia per recarsi a trovarla, stanno attendendo il visto per raggiungere il Belpaese. Vorrebbero inoltre poter raccontare che Aicha non stava bene, si sentiva a disagio, soffriva perché si sentiva abbandonata e traditia, ma che nessuno di chi le viveva accanto se ne sarebbe accorto, che in fondo pure lei è una vittima, di se stessa, proprio come Nicolò, che continua a cercare e ad illudersi che sia ancora vivo, anche se lui è morto, perché lei lo ha ucciso.

di Daniele De Salvo