Nibionno (Lecco), 21 aprile 2014 - «Da quegli animali non vogliamo nulla, i loro soldi non ci interessano, vogliamo solo che marciscano in galera e che scontino sino all’ultimo la pena per quello che hanno commesso». Luca Galbiati oggi sarà  anche lui in aula, a Maidstone. Sarà accanto al figlio Alex, il 19enne di Rogeno che lo scorso 20 ottobre è miracolosamente scampato alla mattanza costata la vita all’amico di sempre e coetaneo di Nibionno Joele Leotta, massacrato di botte, senza un motivo, da quattro lituani.

Il padre sosterrà il figlio mentre testimonierà  e racconterà  ai magistrati e ai componenti della giuria popolare della Corte della Corona della contea del Kent ciò che è accaduto quella maledetta domenica sera nella stanza d’albergo di Lower Stone Street, sopra il «Vesuvius restaurant» dove avevano trovato lavoro come lavapiatti.

In tribunale ci saranno pure Ivan e Patrizia, papà  e mamma del ragazzo brianzolo ammazzato. I genitori si trovano in Inghilterra dalla settimana scorsa, quando è cominciato il processo a carico dei presunti assassini. Hanno quasi la stessa età  del loro ragazzo. Sono Aleksandras Zuravliovas di 26 anni, Tomas Gelezinis di 31 Saulius Tamoliunas di 24 e Linas Zidonis di 21. Durante le udienze preliminari e le fasi iniziali del procedimento i giudici hanno rivelato che l’adolescente sarebbe stato colpito almeno un centinaio di volte con calci, pugni, sberle, ma anche una spranga metallica.

È stata fatta sentire pure la chiamata al 999, il numero di emergenza inglese, che Alex ha contattato per chiedere aiuto, una telefonata drammatica, tanto che i genitori di Joele hanno preferito abbandonare l’aula.

Dopo l’assalto nella loro stanza, lui per salvarsi si è rinchiuso in bagno. Joele invece ha cercato di scappare giù per le scale, ma è stato raggiunto da quelle furie che non gli hanno lasciato scampo. Quando tutto era finito, Alex era uscito dal proprio nascondiglio, ma ormai era tardi. «Why did you do this?», perché l’avete fatto?, ha chiesto a uno degli aggressori che gli si è seduto accanto come nulla fosse successo. «You, not me», gli avrebbe risposto: «Tu, non io».

Una frase misteriosa, come a dire che sarebbe stata tutta colpa loro. Quale sia la loro «colpa» però non è chiaro. Forse quella di alloggiare nella stessa stanza di una persona che avrebbe denunciato i quattro per i continui problemi che creavano. Forse di essere italiani, probabilmente di essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato.
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