Lecco, 30 marzo 2013 - Per quattro mesi è stata la loro casa, dove hanno dormito al riparo dal freddo e dalle intemperie dell’inverno. Ma quel rifugio per molti è divenuto pure un luogo di amicizia e di riscatto sociale, lo hanno trasformato in un «hotel disperazione» a un posto di speranza, per il presente e il futuro. Eppure quella di oggi sarà l’ultima notte che trascorreranno lì.  Domani il rifugio messo a disposizione dai volontari della parrocchia e della Caritas di Lecco chiude i battenti, sino al prossimo dicembre, e loro, 27 senzatetto, si ritroveranno in strada, di nuovo, senza un luogo dove andare, perché nessuno è disposto ad accoglierli e offrire un’alternativa ai marciapiedi. Non potranno nemmeno ritornare nella hall di ingresso dell’ospedale, nei sottopassi o nelle sale d’attesa della stazione, negli alloggi sfitti, perché i controlli verso gli abusivi sono divenuti rigidissimi, quasi opprimenti. 

Nemmeno gli animali vengono trattati così, perché per scongiurare la serrata del canile municipale sono state organizzate manifestazioni e sottoscrizioni, se ne è discusso in Consiglio comunale, si sono mobilitati persino parlamentari. Per i clochard, la maggior parte dei quali italiani, invece solo il silenzio. Un silenzio che tuttavia non sono disposti ad accettare, un oblio in cui non intendono cadere. Per questo hanno diffuso un duro documento di protesta e annunciato un sit-in all’esterno del municipio, dove si accamperanno con i loro miseri averi. «Ribadiamo la nostra volontà di proseguire nelle iniziative di “rivalsa” che stiamo organizzando per consentirci di uscire dall’assistenza e recuperare un poco di dignità - si legge in un volantino diffuso in città -. Purtroppo ci avviamo verso una conclusione piuttosto amara, rischiamo di naufragare e ripiombare nell’assistenzialismo. Non avere un tetto limita infatti ogni possibilità». Perchè quello che chiedono non è altro che un’altra chance: «Dateci una mano, noi speriamo ancora». La decisione circa il rifugio tuttavia è ormai assunta.

«L’iniziativa è nata come esperienza di emergenza per impedire che persone in difficoltà morissero letteralmente di freddo - spiega il prevosto monsignor Franco Cecchin -. Purtroppo non siamo in grado di proseguire oltre nell’esperienza del rifugio invernale, non possiamo garantire presenza e continuità. Ciò non significa che li abbandoniamo, anzi, solo che non abbiamo modo di garantirgli un riparo». «L’idea del rifugio non è nata per garantire una casa a chi non l’ha - aggiunge l’assessore ai Servizi sociali Ivano Donato -. Quel posto non è un ghetto e non deve diventarlo. Molti dei senzatetto arrivano da fuori zona, chi ha avviato un percorso di riscatto può proseguirlo, occorre intervenire su diversi ambiti».

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