Lecco, 12 marzo 2014 - Veniva dalla casa del massacro la telefonata muta ma con un sottofondo di urla terribili che alle 2.08 di sabato notte ha raggiunto il 112. A chiamare, hanno confermato gli inquirenti, era il cellulare di un «componente» della famiglia Dobrushi. Poi il silenzio. Ed Edlira Copa che dopo averle massacrate vegliava per ore e ore le sue tre bambine prima di tentare, invano, di uccidersi. Nulla sarebbe cambiato se non la possibilità teorica di scoprire il massacro qualche tempo prima. Con ogni probabilità, alle 2.08 di quella terribile notte, Edlira aveva già ucciso la piccola Sidny, 3 anni, trafitta da un fendente alla schiena, e infierito selvaggiamente, fino a sgozzarla, su Keisi, 10 anni. Era viva solo Simona, 13 anni, la figlia maggiore, che tentava di salvarsi fuggendo da un locale all’altro e ingaggiando una colluttazione disperata con la mamma assassina. E’ stata la sua mano a comporre il 112.

L’orario della chiamata è compatibile con quello in cui Alessandro Tacini, inquilino del terzo piano, sopra l’appartamento dei Dobrushi, viene svegliato dalle grida, si affaccia, non scorge nessuno. Ma soprattutto il particolare getta una luce ancora più triste e sinistra sulla strage di Lecco. Edlira Copa, dopo avere sterminato le tre figlie, ne ha vegliato i corpi per quasi quattro ore. Poi ha deciso di togliersi la vita, prima cercando le vene, poi colpendosi all’addome con uno dei due coltelli. Non è riuscita a morire. E’ uscita sul pianerottolo, ha disceso una rampa di scale e ha suonato alla porta di Nadia Valsecchi. Subito dopo ha fatto squillare il campanello alla porta di Alessandro Tacini. La 37enne albanese continua a essere piantonata alla rianimazione dell’ospedale «Alessandro Manzoni» di Lecco.

Ieri è stata operata a una mano ferita. Nel pomeriggio di oggi il gip Paolo Salvatore terrà l’udienza di convalida dell’arresto. La telefonata al 112, numero unico per le emergenze, ambulanze e forze dell’ordine. A riceverla è il centralino di Varese. L’operatrice vede che la chiamata proviene da un portatile e che ha agganciato una cella di Lecco. «Non capisco, non capisco», dice senza ricevere risposta dall’interlocutore. Pochi secondi e cade la linea. L’operatrice del 112 richiama. Il telefonino è staccato. L’operatrice avverte prima la polizia e poi i carabinieri di Lecco. Entra in campo la fatalità.

Se la chiamata fosse venuta da una apparecchio fisso l’indirizzo dell’utente si sarebbe immediatamente svelato. Nel caso di un cellulare per risalire all’intestatario è invece necessario interpellare i vari gestori telefonici. La cella agganciata racchiude un’area di circa 600 metri quadrati da cui non era giunto alcun allarme. Solo la mattina dopo la chiamata è stata messa in relazione con la strage. Le indagini successive hanno accertato che proveniva dalla famiglia Dobrushi. «Le ho viste. Sembrava che stessero dormendo». Bashkim Dobrushi esce dalla morgue dell’ospedale. Ha visto le figlie prima che l’anatomo patologo Paolo Tricomi iniziasse una lunga autopsia.

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