Dervio (Lecco), 19 febbraio 2014 - Il racconto della vittima era da ritenersi credibile. Soprattutto perché la stessa quindicenne resistette ai tentativi dell’allora fidanzato, che voleva convincerla a non sporgere denuncia nei confronti dei quattro. E ancora, che il quadro indiziario iniziale già lasciava intravedere «forti elementi di colpevolezza» nei confronti dei quattro principali indagati che pertanto avrebbero dovuto essere messi in stato di fermo sin da subito. É quanto emerge nelle motivazioni della sentenza con cui, nel maggio scorso, la Seconda sezione della Corte d’Appello di Milano aveva confermato la sentenza già emessa dalla prima sezione, poi annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione per vizi procedurali. I giudici avevano di nuovo condannato quei quattro giovani di Colico: sette anni e sette mesi ciascuno ai cugini Mattia, Daniel Fontanini e Marco Grigi; sei anni e sette mesi Manuel Pedrazzoli perché avrebbe avuto un ruolo meno grave nella violenza.

Per la Corte erano responsabili di aver prima ceduto sostanze stupefacenti a una ragazza - V.B., allora quindicenne - e poi di averla violentata selvaggiamente in una spiaggia di Dervio. L’unica colpa di quella ragazza era di aver chiesto un passaggio in auto ai ragazzi sbagliati. Quella notte, la notte del 5 e il 6 marzo 2005, il branco decise che quattro salti in discoteca non bastavano, bisogna dare una svolta alla noiosa routine della movida di provincia. Si doveva continuare a fare festa e lei, quella ragazza che voleva solo un passaggio per tornare prima a casa, era la preda a portata di mano, prima fatta sballare e poi abusata perché così è tutto più facile. Soprattutto quando si è in quattro. Così ha sempre dichiarato la giovane la quale si era subito confidata con l’allora fidanzato. Lui prima aveva raccolto le confidenze della ragazza e poi aveva ritrattato. A distanza di anni i giudici hanno confermato l’impianto accusatorio emerso nel fascicolo delle indagini coordinate dal pm di Lecco, Paolo Del Grosso, che in primo grado chiese pesanti condanne mentre arrivò un’assoluzione per insufficienza di prove. Ora i legali degli imputati paventano un nuovo ricorso in Cassazione.

 

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