Merate, 11 gennaio 2014 - Dal Trevigiano alla Brianza, passando per Monza, la Romagna e Napoli, un viaggio di centinaia e centinaia di chilometri attraverso tutta lo Stivale, costato la bellezza di 2 milioni di euro, rubati ai titolari di una società farmaceutica lombarda con un inganno degno del film “La stangata”, ambientato nel Nordest dei giorni nostri invece che nell’Illinois del 1936. La maxi truffa è stata scoperta dai carabinieri di Montebelluna, provincia di Treviso, e coinvolge anche una donna di Merate, che avrebbe approfittato di parte del tesoro e il cui ex marito sarebbe la mente del raggiro. Si tratta P.M., 42enne originario di Bergamo ma che abita a Milano, il quale spacciandosi per dirigente di un’impresa lombarda ha chiesto e ottenuto un contratto di factoring a sei zeri dai funzionati della Claris Factor di Montebelluna.

In appena tre giorni è riuscito a spendere quasi 900mila dei 2 milioni di euro del credito riscosso. Parte dei soldi sono stati utilizzati per compere folli, come gioielli, preziosi, motociclette, fuoriserie e due orologi da collezione, ma anche per sborsare un assegno da 4mila euro appunto ad A.L., quarantenne meratese, la sua ex consorte. I contabili della finanziaria tuttavia di fronte a simili estratti conto si sono accorti quasi subito che qualcosa non quadrava, hanno contattato i titolari della società che avrebbero dovuto beneficiare dell’accordo e scoperto che loro non ne sapevano assolutamente nulla: qualcuno aveva semmai rubato la loro identità e falsificato i documenti per dimostrare di avere le carte in regola e godere del tesoro versato sul conto corrente di un istituto di credito di Rimini.

Gli investigatori hanno identificato anche un 46enne di Bologna quale mente dell’ingegnosa e complessa frode, mentre stanno dando ancora la caccia a un terzo complice. Complessivamente sono dodici le persone denunciate con l’accusa di truffa in concorso, tra cui anche un notaio partenopeo con studio nel Milanese, ma quattro risultano irreperibili. I due ideatori del “giochetto” devono rispondere pure di associazione a delinquere. Secondo gli inquirenti gli spalloni della finanza sarebbero stati tutti a conoscenza che i soldi erano frutto di un vero e proprio furto e si sarebbero prestati a ricoprire cariche fittizie di rilievo.

Alcuni dei beneficiari dei bonifici sono stati rintracciati e interrogati e si sono giustificati sostenendo di aver incassato le somme come compensi per le consulenze prestate alla società fantasma. Adesso però devono provare il lavoro eventualmente svolto per giustificare gli introiti. Anche perché alcuni soggetti giuridici destinatari dei versamenti con assegni e trasferimenti di denaro o con transazioni online tramite home banking dai controlli effettuati in camera di commercio risultano tutti in via di fallimento.