Nibionno, 13 dicembre 2013 - I quattro lituani che li hanno aggrediti credevano fossero stati loro a denunciarli, invece era stato un paio di settimane prima un polacco di cui i due amici brianzoli avevano da poco preso il posto in quella camera d’ostello. Ma quei balordi non lo sapevano e probabilmente nemmeno importava sapere loro chi li avesse segnalati agli agenti di polizia con il rischio che venissero rispediti in patria, perché quello che cercavano era solo vendetta. Quando quella maledetta sera di domenica 20 ottobre hanno fatto irruzione nella stanza del convitto di Lower Stone Street, accanto al ristorante Vesuvius dove i giovani italiani lavoravano da pochi giorni, volevano unicamente ucciderli. Hanno sfondato la fragile porta del dormitorio, Joele e Alex erano particamente nudi, con indosso un  leggero pigiama e stavano guardando la televisione. Non hanno nemmeno avuto modo di  reagire. Le belve li hanno assaliti e sopraffatti. Per interminabili minuti hanno infierito su entrambi con una violenza incredibile, tanto da distruggere anche uno dei muri in cartongesso. Li hanno picchiati con calci, pugni, schiaffi, e poi di nuovo, a più riprese, dandosi il turno, quasi fosse un gioco.

E quando sono riusciti a scappare li hanno inseguiti, sul pianerottolo, per terminarli, entrambi: quei ragazzini italiani che svolgevano un mestiere migliore, per loro non meritavano di vivere. Joele è corso giù per le scale, ma è stato bloccato, Alex si è rifugiato nel bagno in comune, ma è stato tirato fuori a forza dall’angusto locale. Un cuoco colombiano, un loro collega arrivato anche lui lì da poco, ha provato a intervenire e porre fine all’assurda mattanza, gli energumeni lo hanno rinchiuso nel proprio appartamento, dirimpetto a quello degli adolescenti. Dopo diversi minuti si è liberato, ormai però era tardi. Il 20enne di Nibionno versava a terra immobile, lo stesso il coetaneo di Rogeno.

Il messo peggio sembrava proprio quest’ultimo, coperto da una maschera di sangue. E’ stato trasferito d’urgenza in un ospedale del posto. L’inseparabile compagno invece è stato dirottato al College Hospital di Londra. Per diverse ore Joele ha lottato contro la morte, da solo, senza qualcuno di conosciuto accanto, infine si è arreso e il suo cuore ha cessato di battere. Alex lo ha saputo molto più tardi, il pomeriggio seguente, lunedì, dagli investigatori che lo interrogavano. Nessuno lo ha avvisato prima e nessuno ha informato prima i genitori di entrambi, è toccato a lui telefonare a casa.

Nessuno voleva crederci, invece era tutto vero, come confermato martedì mattina dai funzionari della Farnesina, sollecitati a informarsi di quanto successo dai carabinieri della stazione di Costa Masnaga. Gli investigatori del Kent nel giro di poco tempo hanno fermato dieci persone, tutti della repubblica baltica, due sono stati poi scagionati, quattro solo indagati e altrettanti arrestati e ufficialmente incriminati: Aleksandras Zuravliovas, di 26 anni; Tomas Gelezinis, 30 anni, Saulius Tamoliunas, 23 anni e Linas Zidonis, di 21 anni. A gennaio dovranno proclamarsi colpevoli o innocenti, ad aprile comincerà il processo vero e proprio. Quattro, cinque udienze al massimo per il verdetto, senza alcuna possibilità di appello.

Secondo il coroner che ha svolto l’autopsia sul corpo martoriato del nibionnese, fatale è stata una pedata alla testa, assestata con un pesante scarpone da lavoro che gli ha sfondato il cranio. Anche Alex era destinato alla stessa sorte, pure lui è stato colpito più volte in testa, ma è scampato miracolosamente al massacro. Sarebbe bastato che avesse seguito Joele forse anche lui avrebbe subito la medesima sorte. Invece no, almeno lui ce l’ha fatta.

E questo pomeriggio si è presentato per primo sul piazzale del municipio per accogliere e abbracciare l’amico di sempre, finalmente tornato a casa, da mamma Patrizia, papà Ivan e dal fratello adolescente. Con loro e pochi intimi ha pregato e pianto sul feretro appena rientrato dall’Inghilterra, con un volo atterrato allo scalo di Linate alle 10.30.  Per tutto il giorno lo ha vegliato piangendo con gli altri della compagnia del parchetto, abbracciandoli, cercando conforto e un perché ad una vicenda assurda che una spiegazione tuttavia non potrà mai averla.