di Andrea Morleo

Lecco. 28 novembre 2013 - Non c'è la Provincia di Milano, l’Arpa, l’Asl e nessuno degli enti preposti per legge alla tutela e al rispetto dell’ambiente nella Regione. A difendere la salute e il territorio lombardo c’è invece una minuscola compagine ambientalista composta da un centinaio di associati con sede a Merone, Comune di poco meno di quattromila anime in provincia di Como. L’associazione «Ilaria Alpi» è l’unica parte civile costituitasi nel processo che a Lecco vede 21 imputati di traffico illecito di rifiuti tossici destinati a un centro per i conferimenti speciali nel Novarese, ma di fatto smaltiti nei cantieri di mezza Lombardia.

«Siamo i supplenti di chi sarebbe titolato più di noi a vigilare sull’ambiente», spiega l’avvocato Maria Grazia Corti, legale dell’associazione che ha chiesto 50mila euro di risarcimento. Appunto. L’ennesima beffa in una brutta, bruttissima storia in cui materiale nocivo, altamente nocivo tra cui anche amianto fuorilegge veniva miscelato nel calcestruzzo e nell’asfalto destinati a moltissimi cantieri (78 per la precisione) della Regione e trasportato con più di seimila viaggi (6.400 per l’esattezza) sull’intero territorio lombardo e del Nord Italia. Una montagna di rifiuti (oltre 2500 tonnellate) che secondo gli uomini della Dda di Milano, tra la fine del 2007 e il 2009, avrebbe consentito alla Perego Strade di trarre un profitto illecito di oltre due milioni di euro. L’indagine - partita dalla polizia stradale di Como e dal Noe tre anni fa, e confluita nell’operazione «Infinito» contro le infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia - ha portato 21 imputati a processo per traffico illecito di rifiuti in concorso. Tra loro Ivano Perego e Andrea Pavone, condannati (e attualmente detenuti) rispettivamente a dodici e quindi anni proprio per aver favorito le infiltrazioni della ‘ndrangheta all’interno delle società di movimento terra.

Il processo, istruito nel tribunale di Lecco perché secondo gli inquirenti i rifiuti tossici venivano raccolti, stivati e poi miscelati proprio nella sede della Perego Strade a Cassago, vede tra gli imputati anche i fratelli di Ivano - Claudio, Luigi ed Elena Perego -, Giovanni Barone e una quindicina di autisti e dipendenti della stessa Perego Strade. Tutti con posizioni differenti per ruoli e coinvolgimento in un maxi traffico di rifiuti che, secondo l’accusa, avrebbero ammorbato mezza Lombardia.

I cantieri di provenienza dei materiali (i cui committenti erano del tutto ignari dello smaltimento), producevano prodotti di risulta che andavano dagli inerti da demolizione edilizia fino appunto all’amianto, localizzati in zone differenti della Lombardia: negli atti vengono citati la Clinica Mangiagalli di Milano, la demolizione di uno stabilimento tessile a Macherio. La stessa situazione che si è verificata per gli asfalti: quelli dello svincolo di Lurago d’Erba all’incrocio tra Como-Bergamo e Vallassina, del raddoppio ferroviario della Carnate-Airuno e del cantiere della Paullese.

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