Paderno d'Adda, 9 settembre 2013 - Si avvicina l’ora della verità per i presunti assassini di Antonio Caroppa, il 42enne di Paderno d’Adda che la sera del 10 maggio scorso è stato freddato nel box sotto casa con un colpo di pistola esploso a bruciapelo alla gola. Ma anche per la vedova di 43 anni Stefania Jannoli e per la figlia piccola, oltre che per gli altri familiari, che sperano di trovare giustizia.

Nel giro di  qualche settimana Fabio Citterio, tecnico informatico di 47 anni di Lurago d’Erba e sua cugina Tiziana Molteni, operatrice sanitaria di 55 anni Dolzago finiranno alla sbarra. E con loro anche Santo Valerio Pirrotta, coetaneo e dirimpettaio dell’esperto di computer. 

I primi due ritenuti gli esecutori materiali del delitto, a inizio ottobre compariranno davanti al giudice per essere processati per rito abbreviato. L’ultimo, considerato colui che ha armato i due complici e ha commissionato il “lavoro sporco”, ha scelto invece il procedimento ordinario e approderà in aula già a questo mese, ma davanti alla corte d’Assise di Como.

Secondo le indagini ormai concluse i due cugini avrebbero accettato di “dare una lezione” al padre di famiglia perchè sarebbero stati convinti dal terzo complice che era un tipo pericoloso che molestava bambini. In realtà non era vero niente. La situazione però è sfuggita di mano e quella che avrebbe dovuto essere una spedizione punitiva si è trasformata in tragedia. «Le loro versioni coincidono, su questo come altri aspetti - riferisce l’avvocato Vito Zotti, 50 anni, legale della 54enne -. La mia assistita in qualche modo era certa di riuscire con le maniere forti a obbligare quella persona a cambiare comportamento.

Ovviamente è parso subito chiaro che quanto era stato loro riferito era assolutamente falso, tutte le testimonianze riportare negli atti dell’inchiesta su questo aspetto non lasciano spazio a dubbi e indicano la vittima come una persona rispettabile e degna di fiducia». Per gli inquirenti tuttavia il mandato che avrebbero ricevuto sarebbe stato proprio quello di uccidere, altrimenti non si sarebbero presentati dal brianzolo impugnando una pistola con la matricola abrasa e carica, con il colpo in canna. Resta inoltre da capire se ci sia un  mandante occulto.

Gli investigatori e i magistrati sospettano che a commissionare quella che per loro è una vera e propria esecuzione mafiosa sarebbe stato Alberto Ciccia, 46 anni di Renate ma calabrese di origine, condannato all’ergastolo per un triplice omicidio avvenuto nel 1996 a Capriano di Briosco, ex convivente della moglie della vittima. Il pregiuidicato, esponente della ‘ndrangheta, a quanto pare non avrebbe gradito la nuova relazione della donna dopo che lui era finito in cella. Ma questa ipotesi durante i processi non potrà essere provata, perché le indagini su tale tesi sono ancora in corso.