Lecco, 1 luglio 2013 - Una roulette russa quotidiana con gli Ak47 dei talebani giocata, o meglio subìta, tra i ghiacciai delle montagne più alte del mondo. Da una parte i terroristi del Tehrik-e-Taliban, dall’altra alpinisti e ricercatori italiani, in buona parte lombardi, che hanno comunque deciso di restare in Pakistan nonostante le minacce e lo choc seguiti al massacro, alcuni giorni fa, degli 11 scalatori internazionali al campo base del Nanga Parbat rivendicato dai talebani pakistani. Tra le montagne del Karakorum i Ragni di Lecco, guidati dal varesino Matteo della Bordella, che sono impegnati nella zona all’estremo Nord del paese, lungo il ghiacciaio del Baltoro.

La spedizione, composta dai varesini Matteo della Bordella e David Bacci, dal comasco Luca Schiera, da Saro Costa di Milano, da Arianna Colliard di Aosta e dallo svizzero Silvan Schupbach, ha appreso la notizia nei giorni scorsi mentre era già impegnata nei preparativi della scalata dell’Uli Biaho, una torre di mille metri rimasta inviolata. Sfiorati dalla tragedia e privi di un satellitare, dopo essere stati informati rocambolescamente dall’Italia dell’escalation di violenza che ha interessato l’area, hanno deciso di andare avanti e cercare di aprire una via in stile alpino sulla parete Sud-Est della montagna.

Nella stessa zona anche i ricercatori della campagna glaciologica organizzata dal Comitato Evk2Cnr e coordinata dal bergamasco Agostino da Polenza. Con i ricercatori, a guidare le operazioni in quota, c’è anche il lecchese Daniele Bernasconi geologo e scalatore. Per capire quanto la situazione, nel giro di pochi giorni, sia precipitata, basta leggere le dichiarazioni di uno dei sopravvissuti al massacro, il polacco, Boguslaw Magrel, scampato al raid dei talebani solo perché si trovava già ai campi alti sul Nanga Parbat:

«Chiunque abbia intenzione di scalare una montagna in Pakistan dovrebbe ripensare ai suoi piani, perché i talebani hanno ufficialmente informato che i turisti saranno mira di ulteriori attacchi. Va inoltre osservato che si tratta di un completo cambiamento delle attività terroristiche, che finora non erano mai state rivolte contro turisti stranieri. Dal nostro punto di vista riteniamo che le agenzie locali non siano in grado di garantire la sicurezza dei propri clienti. Fare un viaggio in Pakistan in questo momento è molto più di una “roulette russa”».

Osservatore privilegiato della situazione è il coordinatore della spedizione del Cnr. Da PolenzaCosa sta succedendo in Pakistan?
«I terroristi hanno cambiato target e ora hanno nel mirino anche le spedizioni alpinistiche che frequentano l’area del Nanga Parbat così come la valle del Baltoro. La zona si pensava che fosse immune da queste infiltrazioni. È una regione da poco diventata autonoma e che punta sul turismo. Fino a pochi giorni prima della strage tutti gli alberghi erano pieni. Forse proprio questo ha attirato questi terroristi che stanno cercando di destabilizzare il paese e impedirne lo sviluppo».

Perché avete deciso di restare?
«La decisione di non lasciare il Gilgit Baltistan è stata presa a fronte della garanzia da parte delle autorità locali di seguire da vicino le attività del Comitato garantendo la presenza di forze di polizia a salvaguardia dell’incolumità dello staff che porta avanti l’attività».

L’area a Nord del Pakistan, insieme al Nepal, è considerato un paradiso per gli scalatori di tutto il mondo. Nella sola valle del Baltoro ci sono quattro montagne che superano gli ottomila metri (fra queste il K2). Ogni anno sono centinaia gli alpinisti che si avventurano lungo l’unica via che collega il Nord al Sud del Pakistan, la Karakorum Highway. Una strada da brivido che si inerpica fra vallate attraversate dall’Indo attraversando alcune aree tribali a rischio, come Besham o Chilas, il villaggio punto di partenza per raggiungere il Nanga Parbat. Solo un anno fa tre carcasse di autobus crivellati di colpi di Ak47 e dati alle fiamme erano rimaste a bordo strada a lungo ricordando ai turisti il massacro di decine di passeggeri sciiti in quella che fu una vera e propria esecuzione.

federico.magni@ilgiorno.net