Merate, 21 giugno 2013 - Tre ex pazienti lo accusano di averle sottoposte a visite un po’ troppo osè «nelle quali la sua mano indugiava sulle parti intime». Che il comportamento di Paolo Pignoli - chirurgo vascolare di 60 anni di Calco, in servizio all’ospedale di Merate - fosse decisamente sopra le righe in realtà agli inquirenti lo avevano riferito molte più pazienti in sede di indagini. «Molte di loro però non hanno sporto querela perché ormai erano scaduti i termini - come ha ricordato in aula il luogotenente dei carabinieri Germano Montanari - mentre altre non hanno semplicemente voluto».

Il comandante del Norm di Merate è stato il primo testimone a comparire nel giorno della prima udienza al processo che vede il dottor Pignoli accusato di violenza sessuale e abuso d’ufficio, perché avrebbe anche convinto diverse assistite operate al Mandic di Merate a sottoporsi ad altri accertamenti nel suo studio privato. Naturalmente facendosi pagare il consulto, che invece sarebbe stato completamente gratuito se svolto sempre nei poliambulatori del Mandic.

Il secondo teste ad essere sentita è stata la dottoressa Patrizia Monti, che di fatto avviò le indagini «girando» le mail ai carabinieri nelle quali alcune pazienti «si lamentavano del comportamento del dottor Pignoli - ha spiegato in aula il direttore sanitario dell’azienda ospedaliera - che indugiava sulle parti intime, del suo affanno respiratorio durante l’esame e in generale di una brutta sensazione percepita durante quelle visite». fatti e sensazioni che le stesse pazienti «mi hanno poi confermato di persona quando sono state convocate in direzione», ha aggiunto la dottoressa Monti.

Convinta che qualcosa non quadrasse, il direttore sanitario si rivolge ai carabinieri i quali avviarono indagini a tutto campo, «durante le quali abbiamo interrogato tutte le pazienti donne fino ad un’età di cinquant’anni - ha spiegato il luogotenente Montanari - a cui si sono aggiunte perquisizioni nello studio del chirurgo e al domicilio, dove abbiamo anche trovato materiale pornografico».

 

In aula il dottor Pignoli - che nel frattempo è ai domiciliari dal 22 ottobre scorso e sul quale pesa una precedente condanna per violenza sessuale (2000, poi passata in giudicato) emessa dal tribunale di Bergamo - ha voluto rendere anche spontanea dichiarazione chiedendo che sulla pratica con eco-doppler da lui utilizzata per il trattamento delle vene varicose venissero accolte due perizie di super esperti «per spiegare che con quella tecnica si lavora così». Perizie che il collegio presieduto da Salvatore Catalano ha ritenuto però di non accettare prima di ascoltare gli stessi esperti. Il processo è stato aggiornato al 4 luglio prossimo per sentire tutti i test del pm e delle parti civili.

andrea.morleo@ilgiorno.net