Merate, 6 giugno 2013 - Tre patteggiamenti per gli ex amministratori delegati e altrettanti rinvii a giudizio per i sindaci del collegio dei revisori. Così si è conclusa l’udienza preliminare davanti al giudice Paolo Salvatore nel procedimento per bancarotta fraudolenta successiva al fallimento della Beton Villa di Merate. Il Gup ha inflitto la condanna più pesante (due anni e mezzo, pena non sospesa) a Raffaella Donghi, un anno e otto mesi a Gabriella Donini e infine un anno e mezzo a Marino Sesana.

Nella sentenza il giudice ha pure disposto un risarcimento alle parti civili, i creditori della Beton Villa, rappresentati in udienza dal legale (l’avvocato Sergio Colombo) e il commissario nominato dal tribunale (Pietro Guerrera), che nella precedente udienza si erano costituiti parte civile per il concordato preventivo (14 gennaio 2011).

Sposata su tutta la linea dunque la tesi della Procura (titolare del fascicolo il sostituto Paolo Del Grosso), secondo cui i sei imputati - i tre ex amministratori e altrettanti sindaci della Safi Spa, società appositamente costituita nel luglio del 2008 e composta dalla Sangalli e da Fimet di Bergamo - avevano venduto i «gioielli di famiglia» della Beton Villa distraendo risorse importanti dal bilancio della stessa quando al contrario, sostiene ancora l’accusa, quei soldi avrebbero dovuto essere utilizzati per soddisfare i creditori.

Nel mirino della Procura cittadina la cessione della cava di Medolago, che la Beton Villa avrebbe venduto alla Safi Spa (controllante al 100% l’azienda di Merate) a un prezzo inferiore rispetto all’effettivo valore. Una cessione messa a bilancio per cinque milioni di euro quando, ha sempre sostenuto il sostituto procuratore Del Grosso, il valore di mercato si sarebbe dovuto attestare almeno sui 14milioni di euro.

Un'operazione nella quale il giudice ha ravvisato - con pesi e ruoli diversi, come conferma la diversa entità delle condanne - i profili della bancarotta fraudolenta per i tre ex amministratori. Diversa strategia per i legali degli altri imputati, i tre sindaci del collegio dei revisori dei conti, che sin dalla precedente udienza avevano manifestato la volontà di andare a giudizio convinti di poter dimostrare in aula la completa estraneità ai fatti contestati ai propri assistiti.

Resta l'amarezza per la fine della storica azienda del settore edile fondata dall’omonima famiglia brianzola nel 1962 con sede nella frazione Brugarolo di Merate. Nell’estate del 2008 la famiglia di Arialdo Villa aveva ceduto il 100% delle quote alla Safi Spa. quindi la crisi, la contrazione delle commesse e la decisione di portare i libri in tribunale. La fine delle speranze per i 260 dipendenti.

andrea.morleo@ilgiorno.net