Merate, 24 aprile 2013 - È accusato di aver molestato alcune sue pazienti. Contro di lui puntano il dito almeno cinque donne, che sostengono che mentre le visitava il dottore allungava le mani. Ma Paolo Pignoli, 60 anni di Arlate di Calco, camice bianco in servizio al San Leopoldo Mandic di Merate prima di essere arrestato lo scorso ottobre per violenza sessuale ed essere sospeso dall’incarico, non ci sta a passare per maniaco e si difende, soprattutto in vista del processo che a giugno lo vedrà sul banco degli imputati. Secondo lui chi lo ha denunciato ha semplicemente frainteso gesti che di equivoco non avevano nulla, perché necessari per condurre un particolare esame per accertare la presenza di varici agli arti inferiori. «Sono provocate dal malfunzionamento su base genetica di valvole poste lungo il loro decorso - spiega in un memoriale il chirurgo vascolare di fama internazionale - La sede di queste valvole malate nel 90% dei è a livello dell’inguine, da dove parte la vena safena.

Tramite l’ecodoppler, un esame non invasivo con ultrasuoni che consiste nel posizionare una sonda delle dimensioni di un pacchetto di sigarette sulla zona da studiare e con essa visualizzare sul monitor dell’apparecchio l’immagine colorata del sangue che si muove nella vena, si può studiare il funzionamento delle valvole e riconoscere quelle malate». Ed è proprio la metodologia clinica che avrebbe applicato lui. «Piccoli movimenti della sonda sono necessari per trovare e rendere al meglio visibile la vena indagata che ha quasi sempre un decorso tortuoso». E ancora: «È importante che l’esame venga eseguito in modo accurato, perché da esso dipende la decisione del chirurgo vascolare di operare o meno un paziente e che tipo di intervento eseguire», specie nel caso di varici pelviche, che «si studiano con l’ecodoppler con la paziente sdraiata sul lettino a cosce aperte con una posizione molto simile a quella ginecologica».

Chi viene sottoposto a tale prassi viene ovviamente informato della procedura, ma evidentemente, per l’angiologo, tra le centinaia di persone che ha trattato con tale prassi, alcune non hanno compreso. «Due donne, che non si sono informate, non hanno chiesto spiegazioni, malconsigliate da incompetenti, hanno scambiato questo esame come molestie sessuali; di fatto non rischiano nulla, nelle loro mire risarcitorie e giustizialiste», conclude amareggiato il professionista, il quale in aula, in supporto, chiamerà come perito di parte un professore dell’Università statale Bicocca di Milano, uno dei massimi esperti del settore. Oltre alle testimonianze delle presunte vittime, alcune ricevute nel suo gabinetto privato, altre nell’ambulatorio del presidio ospedaliero brianzolo, sembrerebbe che non ci siano altri elementi né prove concrete a suo carico. In attesa della prima udienza, il medico tuttavia continua a rimanere agli arresti domiciliari nella propria abitazione, impossibilitato ad esercitare la professione.

di Daniele De Salvo