Malgrate, 13 marzo 2013 - LE 19.06. Don Andrea Lotterio esce dal bar dell’oratorio. «È proprio bianca?», chiede rivolto agli operatori delle televisioni. «Non posso far suonare le campane se non è bianca». Lo rassicurano sul cromatismo del fumo uscito dal camino della Cappella Sistina. Bianco. Bianco. Suonano le campane della parrocchiale di San Leonardo. Di feste e di speranza. Speranza che il nuovo papa sarà lui, quello che a Malgrate, poco più di 4.300 anime sul ramo manzoniano del lago e all’ombra del Resegone, è rimasto don Angelo. È venuto da qui, è uscito da una casa di ringhiera sopra una vecchia stalla, una grande corte che ospitava i lavori dei grandi, i giochi dei bambini, il razzolare delle galline. Abitavano in più di sessanta in quella casa. Un giorno nonna Carolina, la più anziana, la decana di quel microcosmo, chiese al ragazzino dalla zazzera rossa: «Russet, cusa mai verrà fora da quel testolina?». Risposta sicura: «Avvocato, prete e poi vo papa».
 

L’attesa davanti al televisore. Il bar si riempie, arrivano il sindaco Giovanni Codega, carabinieri, polizia municipale, giornalisti a frotte. Arriva tanta gente. Il ritratto del cardinale Scola campeggia sul freezer dei gelati, la destra alzata nel saluto. Le bottiglie di champagne, ricoperte di goccioline gelate, sono pronte per essere stappate e bagnare l’evento.

«È UNA VITTORIA anche per voi socialisti», sussurra in sindaco al cellulare a un suo assesssore, ricordando che il padre del cardinale era un camionista che credeve nel sole dell’avvenire. Don Andrea ha ancora qualche dubbio. «Comunque il Papa c’è. Ho fatto bene a far suonare le campane. Non hanno suonato solo da noi?». «No - lo rassicura un parrocchiano - le ho sentite anche a Valmadrera». Le 20.05. Com’è stata lunga l’ora appena trascorsa e non è ancora finita. Le luci si accendono. Il nuovo Papa sta per affacciarsi. Parte un «ohhh» da stadio ma breve e contenuto, la circostanza è troppo solenne. È la Storia, quella con la esse maiuscola, che fa sosta a Malgrate, guai a immiserire l’occasione. «Se sentiamo Angelum l’è lu, è lui», incoraggia qualcuno. «Eminentissimum ac reverendissimum dominum ...». No, non è don Angelo. Attimi di silenzio deluso, poi parte lo stesso un applauso sportivo.Nessuna recriminazione contro lo spirito santo che ha orientato diversamente le teste grigie e canute dei cardinali. Tanta delusione mentre il bar si svuota lentamente: «Peccato, sarebbe stato un ottimo Papa», dice Chiara. «Chissà che giornata sarebbe stata domani se l’avvessero eletto», tenta di consolarsi un vigile urbano». «Il nostro don Angelo - chiosa un anziano - ce lo teniamo. non lo mandiamo a Roma». Una saggezza antica mitiga l’amarezza che è evidente, palpabile.
 

Chi stapperà lo champagne? Nessuno, perché da dietro il bancone lo raggiungerebe la collera di Natale Ferranti, marito di una cugina del cardinale: «Qualcuno ha voluto tirarle fuori e ha sbagliato. Mettiamole via. Se lo pesco gliele faccio pagare». Quattro bottiglie di champagne, simbolo di un sogno svanito.
gabriele.moroni@ilgiorno.net