Lecco, 24 gennaio 2013 - È un morto di peste, quella che il Manzoni raccontò nelle pagine dei Promessi Sposi e nel saggio Storia della colonna infame. Le ricerche sui resti umani - un cranio, un femore e un osso del bacino - rinvenuti nel cantiere dell’ex pizzeria Giglio portano alla prima metà del Seicento e a una delle innumerevoli vittime dell’epidemia che nel 1630 imperversò a Lecco e in tutto il nord Italia.

I lanzichenecchi quindi, che con la loro calata portarono con sé la peste nera contribuendo ad aggravare una situazione già compromessa da due anni di carestia. E non la guerra tra clan calabresi per spartirsi il controllo del traffico degli stupefacenti e gli investimenti connessi ai lauti profitti generati. Già perché l’ex pizzeria Giglio era immobile di proprietà del clan Coco Trovato, il cui indiscusso capo - Franco - sta scontando anni di carcere dopo l’arresto nell’ambito dell’operazione Wall Street (1992) coordinata dall’allora pm antimafia di Milano, Armando Spataro.

Si capisce perché, una volta rinvenute quelle ossa, la Procura di Lecco aveva subito disposto il sequestro dell’area di cantiere dove per conto del Comune (divenuto proprietario dopo la confisca) si sta allestendo un Centro per anziani. «Da un primo esame però quelle ossa risalgono a qualche secolo fa», assicura il colonnello Marco Riscaldati, comandante provinciale dei carabinieri. Lo ha spiegato lo stesso consulente della Procura, l’anatomopatologo Paolo Tricomi. Per fugare gli ultimi, residui dubbi è stato affidato formale incarico alla collega Cristina Cattaneo, che sta seguendo il caso della morte Yara Gambirasio e prima ancora si era occupata delle Bestie di Satana nel Varesotto.

Nessun regolamento di conti dietro ai resti rinvenuti ma una molto più prosaica e «manzoniana» vittima della peste. «Non c’è alcun giallo», assicura Riscaldati che sta lavorando sul campo con i suoi uomini. La conferma arriverebbe anche dalla posizione delle ossa: secondo gli esperti, proprio in quel modo venivano sepolti i corpi di quanti morivano di peste. Ad avvalorare questa tesi la vicinanza con la chiesa parrocchiale di Pescarenico, quello che resta dell’antico convento di Frà Cristoforo, nonché la teca con i teschi delle vittime della mostruosa epidemia. Per domani Comune e Beni Culturali hanno già annunciato ulteriori sviluppi. Per datare con certezza l’età di quello scheletro bisognerà invece attendere l’esito dell’esame del carbonio 14, l’unico metodo scientificamente attendibile.
 

andrea.morleo@ilgiorno.net