di Fabio Landrini

Lecco, 10 novembre 2012 - Pesca nel lago di Como da più di 50 anni. Ogni ansa e anfratto del Lario lo conosce come le sue tasche. E ora si è meritato un importante premio per il suo grande impegno nella pesca. Francesco Ghislanzoni, conosciuto con il nome di Ceko, ieri ha ricevuto il «Premio speciale pescatore storico» alla festa dell’agricoltura a Milano. Lui scherza, forse poco interessato al riconoscimento. Meglio parlare della sua attività, che pratica da quando era un bambino e alla quale ancora oggi, all’età di 63 anni, non rinuncia.

«Ho iniziato a pescare dall’età di sette anni e non ho mai smesso – racconta mentre sistema le sue reti –. Mi piace, è la mia passione e andrò avanti finché potrò». I ricordi vanno al secolo scorso, quando rubò «il mestiere» agli ormai anziani pescatori del rione manzoniano. «Quando era giovane la pesca si praticava in maniera diversa rispetto a oggi - racconta -. D’inverno ci preparavamo per il vero lavoro che veniva fatto d’estate: a Pescarenico c’erano parecchi impianti, mentre ora non esistono più e dalla pesca sull’Adda ci siamo trovati a buttare le reti su tutto il Lario». Oggi Ghislanzoni, insieme al figlio Massimiliano, esce tutti i giorni per posizionare le reti e durante la notte raccoglie il pesce che poi viene venduto nella pescheria di piazza Era. «Preferivo il metodo di lavoro di una volta – prosegue –, era più romantico, molto divertente. Cercavamo soprattutto le alborelle, ma quando sono sparite abbiamo dovuto adattarci e concentrarci su altri pesci. Oggi l’acqua è molto più pulita, per questo non ci sono più le arborelle che vivevano nelle vicinanze degli scarichi fognari».

Ceko ama pescare soprattutto gli agoni, ma continua nella sua attività grazie anche a lavarelli, persici e cavedani d’inverno. «La gente chiede soprattutto filetti e ravioli di lago – indica –, abbiamo una nostra clientela affezionata sia di lecchesi sia di persone che vengono da fuori per acquistare il nostro pesce, amatissimo dappertutto». Un tempo Pescarenico era la patria della pesca lecchese, mentre oggi sono rimasti in pochi. «Abbiamo un incubatoio per il lavarello – dice –, i pesci possono deporre quattromila uova alla volta. Se una frega va a buon fine c’è da mangiare per tantissime persone».

Per lui la pesca non è una battaglia ittica, come per alcuni pescatori amatoriali. «Viviamo grazie al pesce, per cui lo rispettiamo e cerchiamo di conservare le diverse specie che popolano il nostro lago, perché ovviamente è nostra intenzione preservare la fauna del Lario. Finora non possiamo lamentarci e stiamo sopravvivendo anche negli anni della crisi». A 63 anni lo storico pescatore non se ne vuole stare con le mani in mano e ha accettato anche l’incarico di presidente dell’Apat – Associazione pescatori allevatori trasformatori di pesce, ma guai a dire che abbia imparato qualsiasi cosa di questo mestiere. «Nella pesca non si finisce mai di imparare. A volte a causa del vento e dei movimenti dei pesci si raccoglie meno rispetto ad altre volte dove si è più fortunati. Non sempre la bravura è sinonimo di grande pesca». E se lo dice lui, pescatore da una vita, c’è da crederci.